Architecture 101, Lee Yong-Joo 2012

Architecture 101 (Geon-chook-hak-gae-ron)
di Lee Yong-Joo, 2012

Uno dei più grandi successi al botteghino sudcoreano lo scorso anno è stato Sunny, un film che tra le altre cose fa leva sulla ritrovata nostalgia degli anni ottanta; allo stesso modo, uno dei campioni al box office di questa prima metà del 2012 (per ora il quarto incasso) è Architecture 101, in cui sono gli anni novanta al centro della narrazione. La costruzione dei due film è simile: qui l’architetto Seung-min viene contattato da Seo-yeon, una sua amica del primo anno di Università, che gli chiede di costruirle una casa sui ruderi di una sua vecchia proprietà, senza dargli troppe spiegazioni. Il resto del film, come già in Sunny, è raccontato in parallelo tra passato e presente, permettendoci di scoprire gradualmente la verità sul loro rapporto, su cosa li aveva allontanati, sul perché di questo improvviso ritorno. La grande differenza, anche con la norma del film sentimentale, è nella prospettiva da cui viene narrato – e, di riflesso, nel target: infatti il film è stato un enorme successo prima di tutto grazie al pubblico maschile.

Al suo secondo film dopo un horror (Possessed) Lee Yong-Joo, anche sceneggiatore, mostra di saper sfruttare la recente nostomania coreana con garbo e astuzia ma anche con classe e intelligenza, attirando il pubblico generazionale con un notevole armamentario d’epoca (i cercapersone, la spuma per capelli, un lettore cd portatile che diventa un elemento essenziale della trama) e con un’ironia sulle ingenuità di un passato prossimo che pare remotissimo (il dialogo sull’hard disk da 1 GB, “non ti basterebbe una vita per riempirlo”) ma concentrando poi quasi tutti gli sforzi sul lato più tradizionalmente romantico del film. Che funziona alla perfezione, soprattutto grazie all’universalità di una storia sul rimpianto e sulle occasioni perdute, ma anche a un ottimo cast (in primis le due Seo-yeon: l’incantevole Han Ga-in e la giovanissima Bae Suzy, una teen idol in patria), nonostante le età degli attori siano tutte visibilmente sfasate, a una brillante sceneggiatura che affianca l’esplorazione topografica a quella emotiva, e a una conclusione malinconica e tutt’altro che scontata.

L’immancabile canzone-feticcio del caso è “An Essay of Memory” degli Exhibition.

 

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