agosto 2012

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Pirati! Briganti da strapazzo, Peter Lord 2012

Pirati! Briganti da strapazzo (The Pirates! In an Adventure with Scientists)
di Peter Lord (e Jeff Newitt), 2012

Non è semplice trasmettere a parole il divertimento, la grazia, l’umorismo e la strabiliante ricchezza di invenzioni del quinto film della Aardman, diretto dal co-fondatore Peter Lord, tornato alla regia 12 anni dopo Galline in fuga. La tentazione è quella di cascare nel gelido elenco: dalla presentazione della ciurma (“and some of you are just fish I’ve just dressed up in a hat”) agli assalti falliti alla nave fantasma e a quella dei lebbrosi, all’ingresso in scena del pirata che spunta dal ventre di una balena. Si potrebbe continuare per ore. Singole gag a parte, la bellezza di The Pirates! è il suo essere un divertimento estremamente colto, pieno di citazioni e battute legate alla storia del Regno Unito e della scienza, oltre che caratterizzato da una sagacia che più british non si può (e il “surprisingly curvaceous pirate” è una citazione piuttosto esplicita di Brian di Nazareth), ma allo stesso tempo un divertimento forsennato e inarrestabile grazie al ritmo furibondo con cui le trovate si susseguono e all’incredibile caratterizzazione di tutti i personaggi. Di cui inevitabilmente il re è Bobo, la scimmia di Charles Darwin che si esprime con i cartelli come Wile Coyote, a cui sono affidati alcuni dei maggiori colpi di genio del film – come quando si ritrova all’improvviso a suonare i timbani di Also Sprach Zarathustra e fa spallucce al suo padrone – ma anche la Regina Vittoria doppiata da Imelda Staunton, con il suo segreto steampunk, è davvero ingegnosa. Uno spasso indemoniato, tutt’altro che freddo e calcolatore, che fa scolorire per contrasto gran parte dell’animazione d’oltreoceano. E con un terzo del budget.

Take Shelter, Jeff Nichols 2011

Take Shelter
di Jeff Nichols, 2011

La vita di Curtis, tranquillo operaio di una piccola cittadina dell’Ohio, viene sconvolta da sogni apocalittici: inquietanti nuvole nere portano una tempesta di pioggia che sembra miele e tutti gli uomini, anche le persone più vicine a lui, sembrano impazzire. Convintosi che siano una sorta di presagio, Curtis si mette in testa di rimettere in funzione il rifugio antiatomico nel suo giardino. Dopo essere stato “scoperto” dal suo concittadino e compagno di studi David Gordon Green, che nel 2007 produsse il suo esordio Shotgun Stories, Jeff Nichols si è fatto accompagnare ancora una volta dall’incredibile Michael Shannon, assolutamente perfetto per un ruolo simile, e ha confezionato con un budget relativamente ridotto un’opera seconda che pur avendo avuto poca fortuna nelle nostre sale (è stato distribuito, ma in estate e in pochissime copie) ha fatto molto parlare di sé (tra i molti premi, il Grand Prix della Semaine a Cannes) e meritava davvero una sorte migliore. Si tratta infatti di uno dei più sconcertanti e originali film americani dello scorso anno, capace di unire a un ritratto intimo e riflessivo di una famiglia normale travolta dall’imprevisto, e allo scavo ossessivo e spesso doloroso dei personaggi (ottima anche Jessica Chastain nel ruolo della moglie), una visionarietà autenticamente orrorifica e allucinata, facendo piombare il soprannaturale in un mondo che si rifiuta di abdicare ai propri statuti di realtà e realismo, seducendo e disorientando lo spettatore con un abbattimento progressivo dei confini tra il sogno e la veglia, tra la sanità e la follia. Come spesso accade in film in cui si solleva il dubbio sulle facoltà mentali del protagonista, Nichols sembra lasciare fino all’ultimo momento una persistente incertezza ontologica; ma in definitiva il suo è un formidabile crescendo emotivo che punta a riappropriarsi – con risultati stupefacenti – di un’interpretazione univoca, ma terribile e terribilmente affascinante nella sua forza espressiva. Un film prezioso, terrificante e ipnotico, che non vi lascerà andare così facilmente.

Il film è già disponibile in dvd e blu-ray nell’edizione britannica.

R.I.P. Tony Scott (1944-2012)

Tony Scott si è tolto la vita ieri a Los Angeles. Aveva 68 anni.

Friends with Kids, Jennifer Westfeldt 2012

Friends with Kids
di Jennifer Westfeldt, 2012

Il fatto che Friends with Kids abbia buona parte del cast secondario in comune con un film così recente e di così grande successo (in patria) come Bridesmaids può trarre facilmente in inganno: in verità, si tratta di una vera e propria commedia romantica che si appropria di molti canoni del genere (arrivando nel finale a citare quasi esplicitamente un altro esemplare newyorkese come Harry, ti presento Sally) aggiornandola semmai ai linguaggi che proprio Judd Apatow ha imposto alla commedia americana in veste di produttore dal 2005 in avanti, soprattutto nello stile di scrittura e nella direzione degli attori. Nonostante il cast e la pubblicistica suggeriscano un impianto corale, il film ruota principalmente attorno ai personaggi interpretati da Adam Scott e Jennifer Westfeldt, e alla loro scelta di avere un bambino “da amici”, per togliersi il pensiero prima dei quaranta, saltando tutte le conseguenze nefaste del matrimonio e dell’eventuale divorzio; non si rivela granché dicendo che le conclusioni non potranno avanzare in questa stessa direzione, ma la regista presenta il percorso dei personaggi con innegabile freschezza e coerenza, schivando le tentazioni più conservatrici proprio presentando un affresco della vita di coppia che qualche volta scivola nel cliché – il contrasto tra le coppie prima e dopo i figli – ma sa anche affondare la lama, mostrando in definitiva più interesse per il completamento di un percorso narrativo romantico che per l’imposizione di un sistema di pensiero e mantenendo fino all’ultimo secondo la convivenza tra il sentimentalismo e la trivialità dei dialoghi. Ovviamente Jennifer Westfeldt (nota ai più per la sua performance in Kissing Jessica Stein e poco altro) è il cuore del film, essendone produttrice, sceneggiatrice e regista (alla sua opera prima), e oltre a essere una dialoghista a tratti irresistibile riesce a imporre nel film una classe non indifferente che assomiglia al suo stile recitativo; affianca alla commedia pura improvvisi tocchi drammatici gestiti con una sicurezza sufficiente a non far deragliare completamente la storia, e possiede un’umiltà (forse mista a insicurezza: non si può dire che sia tutto al suo posto, ma dopotutto è un’opera prima) che la spinge a mettersi spesso in un angolo lasciando lavorare comprimari più carismatici di lei. In tal senso, l’inusuale rimescolamento tra realtà e finzione (Jon Hamm è il compagno della regista da 15 anni, Adam Scott è loro amico da tempo ed è stato proprio il suo matrimonio la fonte di ispirazione della storia) contribuisce indubbiamente a rendere più affiatato un cast già di per sé straordinario, ma la grande sorpresa è proprio Adam Scott, non solo per il suo collaudato talento comico (chi l’ha già seguito e amato in serie come Party Down e Parks and Recreation lo sa bene) ma per un’inattesa intensità drammatica che spalanca una finestra sui lati più inesplorati della sua bravura.

Il pescatore di sogni (Salmon fishing in the Yemen), Lasse Hallström 2011

Il pescatore di sogni (Salmon fishing in the Yemen)
di Lasse Hallström, 2011

Emily Blunt è una di quelle attrici che possono far passare facilmente in secondo piano i limiti dei film in cui recitano: questione di innegabile bravura ma anche di presenza scenica, di talento comico come di intensità drammatica. Quando c’è Emily Blunt sullo schermo, è difficile distogliere lo sguardo. Purtroppo, non sempre i film da lei scelti sono alla sua altezza. Ed è un peccato che questa commedia romantica diretta (senza particolari sforzi) da Lasse Hallström e scritta (con qualche buona idea) da Simon Beaufoy risulti così ordinaria pur essendo tratta da un libro così improbabile e bizzarro: messa da parte l’ispirazione blandamente satirica con cui è ritratto il grigio burocrate di Ewan McGregor e le suggestioni surreali che la trama potrebbe ispirare, il film prende presto la strada indicata dallo sceicco illuminato Muhammad di Amr Waked, che però in relazione ai protagonisti non è altro che una variante del magical negro e che contribuisce a portare a più riprese la pellicola sull’orlo del ridicolo involontario, abbandonando l’ironia british e finendo per prendere troppo sul serio i suoi banalotti vaneggiamenti sulla ricerca del proprio posto del mondo, metafore con salmoni incluse. Il film poi è tempestato di paesaggi che sfumano nella cartolina turistica, ma in verità, come previsto, è la bravura di Blunt e McGregor (senza dimenticare Kristin Scott Thomas: la tenace e cinica ufficio stampa del primo ministro inglese sarà un semplice comic relief ma è anche la cosa migliore del film) a tenerlo in piedi fino alla fine, non senza una gran faticaccia.