Reality
di Matteo Garrone, 2012
È facile scambiare Reality per un film a tema. Farsi la domanda: di cosa parla? Dove vuole arrivare? Una tentazione comprensibile, che sminuisce però la forza narrativa ed espressiva dell’ennesimo, grande film di Matteo Garrone. Ciò che in verità mi sembra più interessante, più sorprendente di Reality, è il suo legame con la tradizione: sono anni che si tende a confrontare qualunque film leggero in uscita con la “commedia all’italiana”, spesso del tutto a sproposito o quasi; il risultato è che troviamo un erede dove mai ce lo saremmo aspettato, ma dove in fondo era giusto che fosse. E la chiave del dialogo che Reality intrattiene con alcuni dei più amari e profondi film di registi come Risi, Pietrangeli, Germi ma anche – uscendo dal seminato – con il Visconti di Bellissima, è che il film usa il contesto per spiegare la storia, e non viceversa. Non è un film sull’Italia di oggi, non è un film sulla televisione, è un film su Luciano (straordinario Aniello Arena: sarebbe un delitto non citarlo) e su un mondo intero che va in pezzi di fronte a lui e a noi, rendendoci complici di una disgregazione e confusione percettiva che va sì a braccetto con la fragilità dei valori odierni, ma che non diventa mai, o almeno non vuole diventare, una parabola su di essi. L’inquietante viaggio di Luciano diventa, complice la clamorosa colonna sonora di Alexandre Desplat, soprattutto una sorta favola nera sulla disgregazione della realtà che Garrone, che si conferma uno dei migliori metteur en scène italiani, avvolge con una fotografia (ancora una volta di Marco Onorato) iperrealista e una regia sfacciatamente virtuosistica, anche loro appoggiate sul filo tra realtà e immaginazione, pronte a strapparlo per trascinarci in un dolce, inquietante incubo escapista, da cui forse non c’è più ritorno.
Fugati i miei (pochi) dubbi; corro a guardarlo.
«Reality non è un trattato sociologico, né un film contro la tv. E’ un film dal doppio registro, realtà e sogno, dominato da una dimensione onirica».
Non è vero.
«Un viaggio nei cambiamenti del nostro pese e, insieme, un viaggio attraverso la psiche di un personaggio che piano piano si perde. Per molti entrare in tv è esistere. Non sono apparire, ma esserci. Il problema di Luciano non è più solo narcisistico ma esistenziale».
Non è vero.
Tutto quello che hai scritto.
E’ vero.
Reality descrive in maniera mirabolante le cosiddette esperienze deliranti primarie di cui parlava Jaspers.
E’ vero
Esiste una “sindrome da reality” che un medico puo’ diagnosticare e uno psicologo tentare invano di trattare.
Non e’ vero..
Ciao, mi chiamo Afush e sono un cineblogger. Curo il blog Mondoattuale (http://mondoattuale2.blogspot.it/).
Concordo pienamente con te su questo ottimo film!
Mi piacerebbe proporti uno scambio di link.
Fammi sapere se sei d’accordo…
A presto!
Afush