Sound of my voice
di Zal Batmanglij, 2011
In uno scantinato di Los Angeles vive una donna che respira con l’aiuto di una bombola di ossigeno e che si ciba solo di frutta e verdura coltivata dai suoi seguaci in una serra. Si chiama Maggie, e dice di venire dal futuro. Una coppia di scettici decide di smascherarla infiltrandosi nella setta, ma non sarà così semplice. Seconda metà della doppietta che, insieme ad Another Earth, impose all’attenzione dei media il talento dell’attrice e co-sceneggiatrice Brit Marling al Sundance del 2011, anche Sound of my voice è un film che circuisce i linguaggi della fantascienza utilizzando lo stile (e il budget) del cinema indipendente. Se le ristrettezze economiche non ostruiscono in alcun modo la sua efficacia, grazie all’asciuttezza e alla precisione con cui viene raccontata la tensione elastica tra fede e razionalità, il film dell’esordiente Zat Batmanglij parte dalla fascinazione nei confronti della “setta”, delle sue dinamiche e della sua rappresentazione, ma va in una direzione diversa da un film Martha Marcy May Marlene (anch’esso presentato al Sundance 2011) e finisce per sbucare in territori più metafisici, o semplicemente più interessati alla narrazione in sé che a ciò che la narrazione comporta. In modo simile ad Another Earth, anche Sound of my voice predilige la premessa alla risoluzione: il finale è tronco e aperto, ma la chiave trovata per chiudere i giochi da parte di una sceneggiatura che gioca a carte scoperte è un’idea tanto semplice quanto strabiliante: essere abbandonati in mezzo alla strada sul più bello può risultare irritante, oppure può rimanerti sotto la pelle per settimane. Personalmente io faccio parte dei folgorati, faccio parte della setta di Maggie, o meglio ancora, della setta della magnetica, stupefacente Brit Marling.
Il film è già facilmente reperibile nell’edizione dvd inglese.
Visto nel weekend… un altro adepto della setta Brit Marling!
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vabbè, #TeamBrit pefforza