To Rome With Love
di Woody Allen, 2012
Magari, il problema dell’ultimo film di Woody Allen fossero gli stereotipi sugli italiani o cose simili. Il suo problema sta a monte: è un film irreparabilmente brutto. E come spesso accade con i film che ti danno la sensazione di essere stati completati per inerzia quando ormai era troppo tardi per mollare tutto e salire sul primo aereo per New York, la sensazione di fastidio è aumentata dalle potenzialità che si intravedono, a patto di aver voglia di farsi largo a colpi di ottimismo nella giungla di una goffaggine incessante. Parlo del segmento con Alec Baldwin e Jesse Eisenberg, il più alleniano, quello recitato meglio o meglio l’unico recitato bene (soprattutto dalla fenomenale Ellen Page, che azzecca il suo personaggio alla perfezione), dove Roma per fortuna è solo uno sfondo per una riflessione malinconica e cinica sulla cecità travolgente delle passioni e sulla necessità formativa dei propri sbagli. Ma è solo un quarto di film: quella leggerezza negli altri tre si trasforma al limite in esilità e nel peggiore dei casi (tutto il tremendo episodio degli sposini di Pordenone) in un grossolano, sconfortante imbarazzo. L’idea della doccia, per dire, è una delle cose più sciocche che Allen abbia mai girato: sarebbe pure un complimento, se fosse un corto di cinque minuti. L’episodio con Benigni, che per fortuna recita in modo inusuale, quasi sotto tono, è un temino di quinta elementare sulla fama tirato per le lunghe. La cosa peggiore, però, sono i dialoghi, quelli di tutto il film: trattandosi di Woody Allen, non ci si può mica passar sopra. Meno male che ricordiamo ancora lucidamente la splendida parentesi di Midnight in Paris, perché questo Woody frettoloso, impacciato, esausto e sostanzialmente inutile ci avrebbe seriamente preoccupato.
Nota: ho visto il film in lingua originale. Tutto il discorso sul suo doppiaggio è stato fatto a suo tempo su Prejudice e non credo di avere molto altro da aggiungere.
Toh. Non siamo d’accordo. Non che tu lo possa sapere ma è una delle prime volte. Le battute di Allen tornano qui a strappare risa e sorrisi che a mio modesto
avviso non si vedevano dai tempi di “provaci ancora Sam”. Mi sono quasi
commosso nel constatare che Woody è tornato se stesso, assolutamente
centrato e inspirato. Forse questo lo sente chi ha letto tutti i suoi libri?
Il dialogo di puro teatro psicotecnico che coinvolge Ellen Page e Alec
Baldwin è magistrale, colto, raffinato.. L’idea di fare l’opera (vesti la
giubba) sotto la doccia è troppo autoreferenziale (se
pensi che Woody è un po’ un clown tragico) per non piacere. E poi nuova, dai. Mi sembro’ che Allen avesse ripercorso all’indietro la sua carriera e sia tornato “bambino” (ma quanta
sofferenza), nei ruoli che illo tempore ne hanno decretato il successo, ma
con la “consapevolezza dell’adesso”.
Quanta varietà in chi guarda Allen. Per me pure Midnight in Paris era inguardabile. Mi sono addormentato su Brody/Dalì, fai te.
Un grado in meno di varieta’: anche per me Midnight in Paris fu ipnoinducente
Sono totalmente d’accordo. A Woody Allen si vuole bene, lo si apprezza e difende, ma dannazione si è infilato nell’episodio più sconcertante, ridicolo, inutile e stereotipato: una giovane americana in vacanza s’innamora di un italiano conosciuto per strada (sic!), i genitori di lei giungono a Roma dagli Stati Uniti e vengono a contatto con i consuoceri (mi presenti… ti presento… oh Woody, perché?!). Allen – nei panni di un ex impresario musicale che rifugge la pensione come la morte – dopo averlo sentito cantare nella doccia lo convince a fare un’audizione (arci sic!) e, giacché il povero e sempliciotto italiano è timido e canta solo mentre s’insapona sotto il getto d’acqua, l’impresario Woody decide di mettere in scena un’opera in cui lui non dovrà mai cantare fuori dal box della doccia (ULTRA SIC!).
Serve aggiungere altro?