Skyfall, Sam Mendes 2012

Skyfall
di Sam Mendes, 2012

Uno degli argomenti più discussi dall’uscita di Skyfall, titolo numero 23 del franchise “ufficiale” di 007, è l’influenza sul film portata dalla trilogia del Cavaliere Oscuro diretta da Christopher Nolan. Uno degli articoli più divertenti sul tema, con tanto di esempi, è apparso per esempio su Underwire, ma l’impressione al di là del confronto specifico (che fa sorridere, ma lascia il tempo che trova) è che si tratti più che altro di una tendenza generale. Della risposta a una domanda che, finalmente, qualcuno ha cominciato a farsi anche ai piani alti: cosa succede a un marchio consolidato, abitualmente affidato a onesti professionisti disposti a nascondersi nella sua ombra, se viene dato in mano (sintetizziamo per amor di brevità) a un “autore”? L’idea di mettere Sam Mendes alla regia con uno script di questo tipo va in realtà a braccetto con la ricorrenza del 50° anniversario di Licenza di uccidere: più che un film di Bond in linea con la tradizione, Skyfall sembra più una riflessione sul suo stesso mito, sulla sua fondazione e rifondazione (non a caso si parte dall’ennesima morte/risurrezione di Bond), una pausa alla ricerca di una mappa tematica in un mondo in cui le regole (e la posta in gioco) sono radicalmente mutate, senza paura di scardinare qualche certezza divenuta forse un po’ rigida per il mercato odierno – si osa addirittura un accenno a una “origin story” – mettendo in scena un Bond più umano e fragile, che comincia a sentire il peso dei 44 anni dell’attore che lo interpreta. Per fortuna, però, Mendes non affronta il compito da primo della classe ma da vero fan: il film è pieno di ammiccamenti e citazioni, è costruito a “blocchi” che si muovono con lo spostamento da una location all’altra, e anche affrontato come un “normale” film di 007, mettendo da parte la dimensione autoriflessiva, Skyfall ne esce a testa altissima, come uno dei migliori esemplari della saga da molti anni a questa parte – forse meno sorprendente, brutale e tragico di Casino Royale ma infinitamente più compiuto e divertente. Oltre che splendido a vedersi: Mendes ritaglia per sé qualche momento di gloria (la clamorosa entrata in scena di Bardem) e lascia a briglia sciolta Roger Deakins, un grande direttore della fotografia, che se la spassa come un matto, soprattutto nell’isola giapponese e nel gran finale esplosivo in Scozia. L’intelligenza del cast (e la sua direzione) fa il resto del lavoro: se la M di Judi Dench acquista finalmente una tridimensionalità e una centralità narrativa degne della sua interprete e il nuovo Q di Ben Whishaw è un nerd appropriatamente irrispettoso, a colpire sono soprattutto la francese Bérénice Marlohe (avercene, di “bond girl” così) e, ovviamente, Javier Bardem: al di là di discussioni spiritose sull’efficacia del suo piano diabolico, è un villain immediatamente memorabile e diventerà un classico da antologia. Qualcosa di cui, negli ultimi film di 007, si sentiva davvero la mancanza.

Stupendi i titoli di testa firmati da Daniel Kleinman, accompagnati dalla voce di Adele.

3 Thoughts on “Skyfall, Sam Mendes 2012

  1. Ho trovato Skyfall divertente e gradevole, come non succedeva in quel pastrocchio di Quantum of Solace. Se però da una parte il reset di certi stereotipi funziona, anche questo Bond mi ha deluso per la mancanza di una trama emozionante.
    Scene d’azione bellissime, ma i vari Bourne e Mission:impossibile restano un gradino sopra.

    Una cosa. Bravo Bardem, ma non credi scada più di una volta in un’interpretazione macchiettistica? Certe volte gigioneggia, con stile, ma eccessivamente.

  2. A me invece è piaciuto. Almeno la prima metà.
    Mission impossible e Bourne sono più moderni come concetto, ma più pompati ed anche le scene di combattimento non sempre sono così imprescindibili (ma in Bourne ultimatum spaccavano), il fascino di 007 non lo ha nessuno comunque.
    La parte in Scozia mi ha lasciato perplesso; un po’ perché il vecchio aveva un senso con quelle battute solo se interpretato da Connery, un po’ perché io identifico James Bond con un certo tipo di luoghi e se mi porti nella brughiera io storco il naso. Si certo, certo le origini e bla bla bla, ma senza Connery quella parte non ha molta ragione di esistere secondo me.

  3. Craig, ruvida barbetta corta, profilo greco e frozen (o golden?) eye, è un agente/uomo, che suda paura e coraggio. Per questo mi è piaciuto. Ha dei limiti che sono la sua marcia in più, il discriminante da un terminatoriano Jason Bourne. Poi Sam Mendes ha fatto un lavoro sulla saga madornale e da promuovere. Ne parlo qui: http://goo.gl/gspFy :D

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