Rock of Ages
di Adam Shankman, 2012
Quando si affronta un film che è tratto da un musical teatrale che, a sua volta, è ispirato a un preesistente gruppo di canzoni, si può tenere senza dubbio conto di queste ultime, oppure del modo in cui il musical in sé, già in precedenza, aveva dato loro forma, ma è necessario, alla fine, tornare al film. Nel caso specifico di Rock of Ages, la scelta delle canzoni e il modo in cui il musical le tiene insieme, facendole dialogare con la storia, è indubbiamente divertente; ma la verità, mi ripeto, è che queste sono considerazioni che non prendono in esame il film. Che è uno dei più disastrosi, sgraziati, inutili e noiosi musical a cui io, che i musical di norma li gradisco eccome, abbia mai assistito. Qualcuno ha parlato di gleeficazione del rock degli Anni 80, con la differenza che Glee, nel bene e nel male, è sempre stato conscio della propria posizione in un processo di plastificazione, e non ha mai preteso di essere un inno alla libertà del rock contro il brutto brutto pop; in tal senso, è buffo assistere all’anatema contro il lip-sync in un film eseguito in lip-sync: forse siamo arrivati al grado zero, non a caso la scelta di Les Misérables di Tom Hooper va in direzione opposta. Ma non è nemmeno necessario tirare in ballo discorsi musicali per notare l’incidente stradale davanti ai nostri occhi. Reduce dall’ottima prova di Hairspray, Shankman forse si è convinto di poter girare Rock of Ages senza fare alcuno sforzo in più (per esempio, dirigere) e ha sbagliato tutto o quasi. Fin dal casting: i protagonisti dell’esilissima storia d’amore in primo piano, Julianne Hough e Diego Boneta, sono pressoché impresentabili, Alec Baldwin e Russell Brand sembrano passati lì per caso (il loro numero in coppia, per quanto divertente, non basta a riscattare la pigrizia della loro performance), Catherine Zeta-Jones fa quel che può ma è incatenata alla prevedibilità del cliché (come tutto il film: ma in altri personaggi dà meno noia) mentre Paul Giamatti si limita a una variante dell’ometto sgradevole e viscido, l’ennesima – e forse la peggiore – della sua onesta carriera. L’unico elemento eccezionale del film è il devastato, decadente Stacee Jaxx di Tom Cruise; più nel dettaglio, le sequenze che Cruise divide con una favolosa, pazzesca Malin Åkerman regalano gli unici brividi in un film plasticato, anorgasmico, atrofizzato: peccato che Shankman, tirando per le lunghe tutte le loro scene, riesca a mandare all’aria persino questa inaspettata esplosione di erotismo e carisma. Che terribile spreco.