Ruby Sparks
di Jonathan Dayton e Valerie Faris, 2012
Calvin è un giovane scrittore. La sua opera prima è considerata un grande romanzo americano contemporaneo. Nonostante le pressioni del suo editore, però, non riesce a scrivere una parola del suo atteso secondo lavoro. Sotto consiglio del suo analista, si mette a scrivere di una ragazza immaginaria apparsagli in sogno e il personaggio, a cui dà il nome Ruby Sparks, diventa una piccola ossessione. Un mattino, Calvin si sveglia e Ruby lo aspetta in cucina per la colazione.
Lo spunto iniziale sembra l’incontro di risaputi meccanismi narrativi, il blocco dello scrittore, la parola scritta che prende vita. Ma l’intelligenza e l’originalità di Ruby Sparks va ben oltre le sue premesse, e il film si trasforma presto in una bizzarra storia d’amore sull’impossibilità – e in definitiva, sull’inutilità – di trovare la metà perfetta della propria mela, stranamente del tutto priva di velleità intellettuali, e con un modo davvero inusuale, ironico e graffiante, di raccontare l’intervento nel mondo di una Magia dotata di tratti quali la normalità e la consuetudine. Ma ciò che colpisce di più del film di Dayton e Faris, in ogni caso enormemente cresciuti rispetto al debutto Little Miss Sunshine, è la possibilità di leggerlo sotto diverse luci – alcune delle quali illuminano uno sguardo impietoso sul modo in cui gli uomini, trascinati da una sorta di presunzione pseudo-romantica, dipingono o scrivono i personaggi femminili, di carta o di celluloide. In tal senso, Ruby non è l’ennesima “Manic Pixie Dream Girl” e il film risuona quasi come una riflessione sul cliché stesso. Raccontato per gran parte con garbo e leggerezza, Ruby Sparks prende da un certo punto in poi una piega sottilmente inquietante che riflette la crescente sgradevolezza del protagonista (un bravissimo Paul Dano) e che culmina con una scena drammatica e dark, annunciata ma ugualmente angosciante.
Il merito della riuscita di questo sorprendente piccolo film è quasi tutto nelle mani della sceneggiatrice, oltre che in quelle dell’attrice protagonista. Il caso vuole che siano la stessa persona: Zoe Kazan.
Assolutamente sublime, in tutto e per tutto.
Un po’ mi ha ricordato Stranger than Fiction…ad ogni modo, questo m’ha convinto di più..
“Lei mi si è presentata da sola, io ho solo avuto la fortuna di poterla descrivere”