Ho visto “Cosmopolis” per la prima volta sette mesi fa e non ne ho mai scritto. Eccoci.
Cosmopolis
di David Cronenberg, 2012
“Dove vanno tutte queste Limo durante la notte?” si chiede Eric Packer, protagonista del film che David Cronenberg ha tratto, sceneggiandolo personalmente, da un breve romanzo di Don DeLillo. Chi ha avuto la fortuna di vedere Holy Motors ha avuto una risposta assai più fantasiosa rispetto a quella data da Cronenberg, ma è comunque una curiosa bizzarria (notata, ovviamente, da chiunque) che due film così belli e così importanti, presentati peraltro fianco a fianco in concorso al Festival di Cannes, siano ambientati in una Limousine, in entrambi casi simbolo della decadenza di un potere legato all’immaginazione, un monumento che si trasforma in mausoleo. Pur replicandole con una certa fedeltà, Cronenberg fa sue le (limitate) pagine di DeLillo scavando a fondo nel personaggio contrastato e contraddittorio di Eric, un “re” della finanza miliardario, vittima di costanti minacce di morte, che nel corso di una giornata attraversa per un taglio di capelli una Manhattan in preda ai tumulti e tra un incontro e l’altro, ai piedi del suo trono, guarda in faccia la rovina del suo capitale, alla ricerca disperata e probabilmente vana di qualcosa che lo faccia sentire ancora vivo. Girato per gran parte all’interno della Limousine isolata acusticamente, sfruttata da Cronenberg con una regia brillante e imprevedibile, Cosmopolis è costruito su una sceneggiatura eccentrica, complessa e altrettanto soffocante, intenzionalmente verbosa, che non frena in alcun modo la formidabile e ipnotica messa in scena iperrealista e onirica del regista, di maniacale precisione – e che si conclude con un lungo, brutale dialogo (di circa 25 minuti) tra Eric e l’uomo che lo vuole uccidere. Arrivato dopo una serie di opere (apparentemente) più tradizionali, Cosmopolis è un film glaciale, stilizzato e magistrale che segna il ritorno del Cronenberg più intransigente e radicale, fin dalla definitiva, geniale scelta di casting di Robert Pattinson, che il regista carica ancora una volta di caratteri mortiferi: sotto la sua giovinezza, il suo fascino e il suo potere batte un cuore nero come la pece, o forse non batte più nulla.
L’ho odiato. Mi ha stonato di brutto con i suoi discorsi del cazzo su qualsiasi minchiata.
L’apice si raggiunge con la filosofa, discorsi su discorsi per arrivare a niente. Il ricco si annoia? E perché devo annoiarmi pure io che manco sono ricco? Peraltro ho scoperto di avere sviluppato una specie di fobia da limousine. Ieri ho visto Holy Motors e appena ho capito che la limousine bianca sarebbe stata presente per tutto il film volevo mollare tutto e andare a dormire abbracciando il cuscino.
Comunque questa recensione l’aspettavo con ansia, avevo bisogno di qualcuno di fidato che me ne parlasse. Giusto per metterci definitivamente una pietra sopra.