Continuo con i post ritardatari: ho visto “Moonrise Kingdom” lo scorso 7 ottobre.
Moonrise Kingdom
di Wes Anderson, 2012
Dai tempi di Rushmore, e sono passati ormai 14 anni, Wes Anderson ha saputo imporre e restare fedele al suo personalissimo stile con tale coerenza da diventare tanto riconoscibile quanto (a volte sterilmente) imitato. Ma l’inflessibilità di uno dei pochi autentici “autori” americani non è mai diventata maniera di se stessa: il suo cinema alieno e ossessivo, la morbosa cura dei dettagli, il feticismo esasperato, lo studio delle simmetrie e la precisione dei movimenti di macchina non sono freddi e tautologici, ma vanno di pari passo con il calore, la nostalgia e la dolcezza delle storie che racconta, che si tratti di grandi imprese o di piccole vicende umane. Quest’ultimo suo film, ambientato nel 1965 in un’isola del New England dove due tredicenni decidono di fuggire insieme, è così sublime da sembrare, più che l’ennesimo tassello del suo colorato mosaico narrativo, quasi un punto d’arrivo. Anderson sposta dal centro della scena il suo cast di volti noti, come al solito densissimo (non mancano gli habituè come Jason Schwartzman e Bill Murray), e ci mette due formidabili esordienti, Jared Gilman e Kara Hayward (una rivelazione), per raccontare un romanticissimo, spassoso, irresistibile romanzo di formazione amorosa, un inno malinconico all’adolescenza, visivamente ammaliante e di vertiginosa ricchezza, incorniciato dall’incredibile colonna sonora di Alexandre Desplat. Moonrise Kingdom è il compimento di un percorso con pochissimi ostacoli, un film di commovente perfezione.
Sublime, poetico e commovente. Si può aggiungere altro? A mio modesto parere, è uno dei migliori film dell’anno (diciamo nei primi tre).
Aldo vecchiocinefilo