Il lato positivo (Silver Linings Playbook)
di David O. Russell, 2012
“The only way to beat my crazy was by doing something even crazier.”
È la seconda volta di fila che David O. Russell mi fa questo scherzo, di trasformare un post sul suo film, almeno nelle intenzioni, in un piedistallo per la grande interpretazione di una bravissima attrice: due anni prima furono The Fighter e la formidabile, indimenticabile Charlene di Amy Adams, oggi è il turno della Tiffany di Jennifer Lawrence in Silver Linings Playbook. Ancora una volta, un’attrice la cui bravura indiscussa ormai da tempo (The Burning Plain, Winter’s bone, Hunger Games) raggiunge grazie alla direzione di Russell, a soli 22 anni, un livello che gran parte delle sue colleghe più esperte e lanciate si sognano. E ancora una volta, paradossalmente, si tratta di una performance così travolgente da rischiare l’offuscamento di atri meriti del film, che non mancano: la palese ricerca di riscatto da parte di due attori spesso maltrattati come Bradley Cooper e Robert De Niro, riuscita in entrambi i casi – il primo, poi, è in gran forma, anche quando cerca di strafare (e capita) Russell lo tiene a bada; la regia, che è ancora più irrequieta e passionale del solito, con un uso “indisciplinato” dei movimenti di macchina che sembra richiamare l’incontinenza di Cooper; la capacità di costruire singole sequenze davvero memorabili (quasi tutte costruite su dialoghi serrati tra Tiffany e Pat, per esempio il loro primo disastroso appuntamento nel diner); e poi, una sceneggiatura piena di idee e di cuore che affronta lo scheletro della commedia sentimentale, i suoi limiti e anche la sua ricchezza, con intelligenza e sensibilità, pur sventolando una bandiera di indipendenza che forse non gli si addice del tutto. Anche la percezione forse un po’ naif dei problemi mentali dei due protagonisti, segnata pure dall’esperienza di Russell (il regista ha un figlio bipolare e ha trasmesso nel film una sorta di impronta autobiografica nonostante il suo script sia tratto da un romanzo di Matthew Quick), potrebbe trasformarsi in un limite ma permette al film di dirottare il rischio di patetismo verso una visione più autentica e quotidiana (anche attraverso l’uso dell’overlapping dialogue) ma applicando all’illusione di realismo i cliché del caso; l’effetto è quello di una commedia romantica con tutti i crismi, ma ambientata nel mondo reale, che trasmetta un’idea tanto candida e idilliaca quanto irresistibile: amor vincit omnia, pure nella vita vera. In definitiva, è difficile non rimanere coinvolti dall’ottimismo euforico del film, soprattutto nel finale, e del suo inadeguato e logorroico protagonista, a patto di essere inguaribili sognatori – come quelli che, di fronte a un film così ben riuscito, sono disposti a chiudere un occhio o due. In ogni caso, a conti fatti, da quella prima cena imbarazzante a quel fenomenale balletto, ci sono molte cose di Silver Linings Playbook che ci porteremo per molto tempo nel cuore. E anche se riguardano quasi tutte Jennifer Lawrence, di quante commedie odierne possiamo dire lo stesso?
Ah, dimenticavo: Excelsior.