The Master, Paul Thomas Anderson 2012

The Master
di Paul Thomas Anderson, 2012

“You look like you’ve traveled here.”
“How else do you get someplace?”

Non succede spesso, ma può succedere quando è nelle mani di un regista come Paul Thomas Anderson, che una decisione apparentemente tecnica divenga ben più che una dichiarazione d’intenti: così, la scelta di girare quasi interamente in 65mm (è la prima volta in un film di finzione dal 1996) è diventata quasi un seme tematico. Se Anderson vuole che sembri un film del periodo in cui è ambientato, non è certo un vezzo estetico: The Master è realizzato con una tecnologia considerata defunta, più che sorpassata, e lo splendore delle immagini risuona come un tuffo nel passato, un immacolato, definitivo sguardo su un cimitero di confusioni ideologiche che vanno a costituire le radici della società contemporanea.

Ma nonostante la stupefacente, scioccante fotografia del rumeno Mihai Malaimare Jr. sia in tal modo parte della narrazione stessa, The Master non si limita a essere un racconto per immagini. Anderson, dopo Il petroliere, torna a scavare con la medesima profondità nel mito e nei paradossi fondativi del sogno americano, concentrandosi sul rapporto tra l’ambiguo scrittore e filosofo Lancaster Dodd, fondatore di un movimento che mescola psicanalisi e fantascienza chiamato “La Causa”, e Freddie Quill, un ex soldato che sembra mosso soltanto da istinti primari – lo conosciamo mentre mima un rapporto sessuale con una donna fatta di sabbia, e mentre dà interpretazioni ossessivamente erotiche alle macchie di Rorschach. Gli insistiti tentativi da parte di Lancaster di domare la brutalità di Freddie (“a dirty animal that eats its own feces when hungry”) contro il volere della moglie Mary Sue, la solita meravigliosa Amy Adams (“perhaps he’s past help”), costituiscono lo scheletro narrativo del film; che, in parallelo, è giocato sul contrasto tra due grandissime interpretazioni: quella metodica, gigantesca di Philip Seymour Hoffman e quella ancora più letteralmente impressionante di Joaquin Phoenix, che il regista lascia spesso a briglia sciolta. Le sequenze che li vedono recitare in coppia, da quella (già celeberrima) del primo “processing”, sono momenti di cinema colossale che lasciano davvero senza fiato in gola.

Ancora una volta, però, The Master non si limita nemmeno a essere un film d’attori e performance, anche perché Anderson, tra i più grandi metteur en scène che il cinema americano abbia mai coltivato, si fa riconoscere fin dalle prime battute, da quell’ammaliante ballo in long take di Martha tra i banchi del negozio; inoltre, pur in un film che è indubbiamente il meno immediato e il più intransigente della sua carriera, regala una sceneggiatura di rara efficacia in cui l’inesorabile crudeltà dei dialoghi è attraversata da una vena di ironia che, all’occorrenza, si trasforma in risata beffarda. Ma al di là di tutti i suoi formidabili elementi, il segreto definitivo del film è proprio nella narrazione liberissima che li unisce, che li fa danzare sulla magnifica colonna sonora di Jonny Greenwood, alternando fascinazione e frustrazione, trasformando la rabbiosa seduzione tra i due personaggi nel ritratto di un’intera nazione alla ricerca disperata e vana della propria identità. Un film avvolgente, di lancinante bellezza, l’ennesima conferma di un talento impagabile, quello di un grande, forse del più grande autore del cinema americano odierno.

22 Thoughts on “The Master, Paul Thomas Anderson 2012

  1. “Mihai Malaimare Jr.”?
    Da qualche parte in questo momento Shyamalan sta esultando e assaporando un’insperata liberta’.

  2. Giacomo on 4 gennaio 2013 at 21:42 said:

    IL film. visto a venezia. semplicemente adoro anderson!

  3. Non sono del tutto sicuro di capire il senso di incollare un link nei commenti senza nemmeno introdurlo. In ogni caso, l’articolo è senza dubbio interessante anche perché scritto da uno dei migliori critici italiani ma, ugualmente (e ovviamente, visto che dice proprio il contrario di quello che dico io) non sono d’accordo.

  4. miss pascal on 6 gennaio 2013 at 13:40 said:

    non intendevo aggredire incollando senza commento, ma capisco che il gesto poteva essere frainteso in tal senso. ad ogni modo, quello che volevo dire io è che purtroppo la penso come LUI. :)

  5. allora, premessa:
    - ci andavo avendo letto il pregiudizio, ma ho letto questo post solo dopo un paio d’ore dalla fine del film
    - non sono un’esperta di cinema, ma solo una a cui piace che le vengano raccontate delle storie e a cui piace l’atto di andare al cinema (probabilmente già lo dissi in qualche altro commento di là), per cui al massimo posso fare la parte della spettatrice media.
    - non è che non m’è piaciuto, è che non ho deciso se mi è piaciuto o no, e penso che questo mio stato dipenda da alcune aspettative che avevo – inconsce (ah! Propp!) – e alcune cose che non avevo capito lì per lì e che mi sono trascinata per tutto il film.

    svolgimento:
    tu dici che freddy è così di suo, io invece avevo capito che questo suo stato fosse invece post traumatico dato dalla guerra, (tipo i veterani del vietnam, o meglio ancora cfr the pacific): isoletta spersa nel pacifico, loro che aspettano, aspettano, aspettano, aspettano e poi la pace improvvisa. per cui poi durante il film mi aspettavo un occhio di riguardo per questa sua malattia, che per carità c’è, ma non come me la immaginavo io. poi magari ai fini cambia poco, ma sul momento ero orientata forse in maniera sbagliata.
    l’altro misunderstanding mio, è non aver capito subito che intendevano questi con la “causa”: quando freddy è nel bagno a bersi il listerine*, forse deviata dal fatto che fossero su una barca, mi era sembrato che il libro fosse “cruise” e non “cause” come ho realizzato solo poco fa, e non ci ho dato peso; quando poi PSH (che non è un attore che amo particolarmente ma che in questo film mi ha lasciato a bocca aperta e ho trovato anche il doppiaggio azzeccato, così come di JP) parla al banchetto del matrimonio e dice “il matrimonio è come la causa” pensavo ad un errore di traduzione, e cercavo di capire che cavolo intendesse, se il divorzio, o cosa e ce ne ho messo per capire che cosa chiamassero la causa (che poi, era una setta? un culto? uno psichiatra serio? boh). tra l’altro il fatto che nessuno lo chiama mai per nome finchè non arrivano i poliziotti mi ha disorientato anche quello: non capivo se il master in questione fosse qualche psichiatra famoso della scuola di berkeley o di palo alto, visto che il periodo è quello, ed ero io ignoranta che non riuscivo a capire chi fosse (ho solo fatto 1 esame di sociologia e due di psicologia che ho cancellato totalmente dalla memoria, il dubbio di essere in torto era forte : D ), un famoso truffatore americano, un famoso santone; in tutti i casi ero io ad essere in errore : D
    il terzo misunderstanding è il fatto di aspettarmi una narrazione con una presentazione, una parte centrale con un imprevisto e poi un finale. per cui ero sempre lì ad ogni occasione ad aspettare il twist: ora vediamo come lo ipnotizza o lo guarisce. ora vediamo come diventa una persona migliore. ora vediamo come diventa la sua guardia del corpo ed ascendono a successo in tutta america. ora vediamo come le università lo acclamano luminare. ora si scopa la figlia del maestro. ora si fa la moglie. ora dice al genero del maestro che la moglie gli ha messo la mano sul pacco. ora laura dern guarda un bicchiere con le onde concentriche. ora lo cacciano definitivamente. ora dà la pala in testa a PSH. ora s’ammazza con la motocicletta. tutte cose che in una narrazione di quelle solite sono occasioni che se non sfruttate sono perse. e quindi ero sempre lì appesa ad aspettarmi il colpo di scena. (l’anno scorso mi è successo anche con un altro film ma non ricordo quale al momento)
    quindi appesa così, tra aspettative senza riscontri e errori miei di comprensione, sicuramente non sono riuscita a godermelo come si deve, per cui appena possibile magari me lo riguardo in lingua sicuramente, più preparata: il mio metodo di andare al cinema essendo il meno preparata possibile a volte ci prende, altre no : )
    detto questo, a livello tecnico non posso che essere entusiasta: dalle inquadrature ai colori ai vestiti alle acconciature alle facce tutto anni ’50 che di più non si può (guarda val, pare disegnato). per il resto ero perplessa, non riuscendo a capire se la storia fosse di freddy, di dodd, della loro bromance, del culto, del che ne so. e come me la persona con cui sono andata e paradossalmente le altre persone in sala, tanto che quando è finito ho sentito più di qualcuno dire “vabbè, ma qual è il punto?” proprio come mi chiedevo io.

    * solo io so che ci si poteva ubriacare col listerine perchè fino a un certo punto conteneva una percentuale altissima di alcool? Stephen King in uno dei suoi passi autobiografici spiega questa cosa, l’ho imparato da lì.

  6. Prima di tutto: SPOILER ALERT su questo commento e sul precedente.

    Dev’essere il commento più lungo della storia di questo blog. LOL. Dunque, per alcune cose (“qual è il punto?”) risponde il mio post. Per il resto, le tue osservazioni si dividono in due categorie: cose che il film ha fatto in modo diverso da come te le aspettavi; cose che il film ha fatto e, per tua ammissione, hai capito male o in ritardo. In entrambi i casi mi sembra un problema di prospettiva: ovvero, di chi guarda e non del film in sé. Niente di male, chiaro.
    Primo punto: non ho detto che Freddie è così di suo, semplicemente non ho detto niente a riguardo; ho omesso tutta la cosa del reduce perchè non volevo passare troppo tempo a raccontare la trama – amor di sintesi. Certo che il suo atteggiamento è presentato (ipoteticamente: non mi piace mettere troppi punti fermi, soprattutto in un film così) come effetto della guerra, il discorso ai soldati mandati nel mondo senza uno scopo della vita (“se un civile avesse subito uno stress come il vostro”, ecc) è abbastanza chiaro in questo senso.
    Secondo punto: non offenderti, ma qui il problema di comprensione è tuo, io avevo letto bene il titolo del libro nel bagno (forse non ero distratto dal Listerine ^^ o forse eri solo lontana dallo schermo) e quando lui dice “il matrimonio prima della Causa era orribile”, avendo una vaga infarinatura sul personaggio di lui (si è parlato molto per mesi del fatto che il film “potrebbe essere ispirato” – eufemismo – anche ai primi anni di Scientology), era abbastanza chiaro dove la storia andasse a parare. Poi, se uno va al cinema all’oscuro totale magari fa confusione, ma io non l’ho visto affatto come un passaggio oscuro.
    Terzo punto: tutto quello che dici è vero, solo che per me non è un tratto negativo: il film è fatto così e basta. Non a caso si chiude proprio come si apre (lui abbracciato alla donna di sabbia) ma per quanto mi riguarda questa narrazione bloccata e “frustrante” che sembra non andare da nessuna parte è solo un elemento costitutivo del film, non un “difetto”. Anzi, a dire il vero, a me piace che un film disattenda le mie aspettative. Certo, se uno predilige una narrazione “tradizionale” divisa in atti, difficilmente verrà convinto: ma i film non sono mai come li vorremmo noi, i film sono come li vuole chi li fa. Per fortuna, aggiungo io.

  7. (lo spoiler alert, hai ragione, sono pessima)
    sì ma infatti quando dopo aver visto ho letto il post sono riuscita a tirare le fila di tutto, o quasi tutto. sono riuscita ad orientarmi un poco di più rispetto a quello che avevo visto. ( ho letto i pregiudizi, li ho dimenticati, mi hanno chiamato proponendomi il film e mi sono ricordata della bomba e ho detto ok, il trailer ricordavo di averlo visto ma non sapevo altro)

    chiaramente il problema è mio, e nel post che ampliava il discorso del tweet per ovvie ragioni troppo tranchant lo ammetto: ho dovuto metabolizzarlo un po’ e capire che il mio stato d’animo durante e dopo il film erano deviati dal fatto che non ero preparata andando a interpretare male le cose. e anche per quanto riguarda la narrazione, la percepivo come difetto, ma è ovvio che era una mia aspettativa perchè perdendomi cercavo di aggrapparmi a degli schemi, ma a ripensarci ora con una serie di elementi in più la apprezzo, come apprezzo quasi sempre i metodi di narrazione sperimentale, da qualsiasi parte essi vengano.

    per il libro, vorrei usare la scusa che ero lontana dallo schermo, mi mancano 8 diottrie e il font bianco su blu scuro era poco leggibile : D
    a posteriori sono comunque d’accordo con te su tutto, mi riservo solo un po’ di tempo per eleggerlo miglior film dell’anno ; )

  8. Davide on 9 gennaio 2013 at 18:26 said:

    Qualcuno sa se il film verrà proiettato in 65/70 mm in qualche sala italiana?

  9. Davide, che io sappia, nemmeno con il cannocchiale.

  10. Venezia 69: la “Pietà” di Kim Ki-duk mette in ginocchio “The Master”. Visti entrambi, ora compresi i motivi di tali scelte.
    Pessoa diceva: il poeta è un fingitore, finge che sia sofferenza la sofferenza che veramente sta provando.
    Andreson non è un poeta e finge che il suo film sia vano e sgangherato mentre davvero lo è.

  11. Riccardo on 10 gennaio 2013 at 10:38 said:

    Per me il fatto che inizi e finisca nello stesso modo è la rappresentazione esatta del film. Un film che non ha una trama, e in cui i personaggi non fanno un passo in avanti dall’inizio alla fine, rimangono sempre uguali, non c’è uno sviluppo. Poi per carità, regia, fotografia e attori(forse due tra i migliori 5 attori viventi) riescono comunque a rendere il film un capolavoro, però a me non è bastato. Probabilmente le mie aspettative erano troppo alte e probabilmente è uno di quei film che devi vedere due o tre volte per apprezzarlo davvero, però superficialmente dico che “Magnolia”, “Boogie Nights” e “Il Petroliere” erano su un altro livello.

  12. Riccardo on 10 gennaio 2013 at 10:40 said:

    Comunque Matteo Bordone è riuscito ad esprimere più o meno quello che volevo dire in maniera molto migliore: http://www.freddynietzsche.com/2013/01/08/the-master/

  13. Riccardo, nella mia (ahimé prolissa) risposta ad alesstar c’è probabilmente anche una risposta al tuo commento, se me lo permetti non mi ripeto perché sono un po’ di fretta…
    Detto questo, ho già letto il post di Matteo (lo leggo sempre, e comunque non sei il primo che me lo segnala), il suo punto di vista è interessante come tutti – soprattutto trattandosi di un film che, l’abbiamo capito, dice cose diverse a ciascuno – ma è scontato, non lo condivido affatto.
    Penso che sia molto bello, comunque, discutere di un film e avere pareri differenti come i nostri, con rispetto reciproco; basta fermarsi un passo prima del punto in cui quelli che la pensano diversamente sono imbecilli e/o in cattiva fede.

  14. Riccardo on 10 gennaio 2013 at 11:07 said:

    D’accordissimo, poi anche solo il fatto che abbia molta voglia di rivederlo vuol dire che proprio un film inutile e vuoto non è, io gli faccio le pulci perché essendo un grande estimatore di P.T. Anderson mi aspettavo qualcosina di più, probabilmente se fosse uscito dalle mani di un regista sconosciuto avrei urlato al capolavoro. Ed è chiaro che il film è fatto scientemente così, non per sbaglio, può piacere e non piacere, a me non mi ha convinto del tutto ma ripeto, ci vuole una seconda visione.

  15. Il punto è sempre quello che uno si aspetta dal cinema (non dai singoli film).
    Anche io sbavavo come un posseduto durante certi momenti di The Master. Questo film è fantastico sotto tutti gli aspetti, sì, anche quello narrativo – le ellissi sono tutte meravigliose e perfette.
    Il problema è che, come spesso succede grazie al potere accecante del cinema (che infatti genera invasati mai visti a seguito di altre forme espressive, salvo forse per il teatro), tutta questa meraviglia *per me* contiene un colossale vuoto cosmico.
    Ora, se ciò che si vuole è la meraviglia, questo film ce l’ha tutta. Ma a me PTA non ha mai avuto nulla da dire, e anche se ho adorato Il Petroliere per il suo cinema e la sua forza, sapevo benissimo che anche Il Petroliere in buona sostanza non (mi) dice un accidente di niente.
    Mi insegna a fare cinema, ecco, sì. Non è poco, in un mondo di film girati col videocitofono o col manualetto di regia sottobraccio.
    Ma mi sento pronto per qualcosa di più.

  16. Pingback: The Master « My Grimmauld Place

  17. the master è maestrale. e contemporaneo. una forma narrativa più vicina allo spirito del tempo, come dire. e poi siamo sicuri che i cambiamenti del personaggio nel corso della trama debbano essere macroscopici, per catturare la nostra partecipazione, negli anni dieci? (che so, un uomo che si sveglia scarafaggio). non possono essere impercettibili? sfumature? forse i sintomi psicotici di freddie non peggiorano proprio grazie agli assurdi esperimenti terapeutici di lancaster, e superare la dipendenza dal leader carismatico non è di per sè un cambiamento-chiave? e il leader a sua volta, a causa dell’abbandono del suo seguace più fedele, non promette forse di diventare implacabile con chi lo rinnega?

  18. Cara Elena, il tuo commento è molto interessante. A me sarebbe piaciuto che la sostanza degli esperimenti terapeutici venisse approfondita.
    Freddie non sembra avere una psicosi (cosa definisci “sintomi psicotici”?), bensì un disturbo della personalità (caratterizzato dal disprezzo patologico per le regole della società, da comportamento impulsivo, dall’incapacità di assumersi responsabilità e dall’indifferenza nei confronti dei sentimenti altrui). Le persone così di solito non migliorano e non peggiorano.
    Sarebbe stato interessante un punto di vista sul superamento della dipendenza dal leader carismatico, sul superamento della posizione edipica in una persona così disturbata. Tuttavia è proprio il “come” che a mio modesto avviso non viene spiegato. Cosa induce il cambiamento?

    • @Max: le ellissi. non credo che la spiega sia la cifra del film. ha un linguaggio rarefatto. per questo non si puo’ vivisezionare con le regole del viaggio dell’eroe. non trovi che sia paradossalmente piu’ reale mostrare i sintomi di freddie immersi nel flusso delle cose? (credo che anche un bipolare possa peggiorare, tipo ammazzarsi, btw. invece freddie alla fine scopa con una donna vera e non di sabbia). non e’ io ti salvero’, ne’ a dangerous method. il focus e’ un altro, forse il rapporto tra i due. ma anche qui: scontato sviscerarlo fino in fondo. per questo e’ un film contemporaneo, e’ liquido.
      ps: maestrale e’ un lapsus molto poetico.

  19. shanti on 2 febbraio 2014 at 00:24 said:

    Dear K.,
    sono noiosamente, ripetutamente d’accordo con te…
    (Non ti curar di loro, ma guarda e passa)
    Mi piace molto il rispetto con cui tratti le opinioni di tutti,
    è così che deve essere…ma trovo questo film incredibile, le interpretazioni dei due Grandi Attori veramente epocali, non saprei chi scegliere…forse il più grande è stato proprio Phoenix, ma il merito è da dividere con tutti gli altri fino all’ultimo dei comprimari.
    Ho scoperto oggi per caso il tuo sito e lo visiterò spesso.
    Sei molto competente, leggere le tue recensioni è un vero piacere.

  20. @elena: come stai? quale film ti è piaciuto di recente?

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