Django Unchained
di Quentin Tarantino, 2012
Come Bastardi senza gloria, anche il nuovo film di Quentin Tarantino nasce da una pulsione rivoluzionaria, quella di piegare la Storia, con la S maiuscola, al volere del racconto del cinema. Stavolta Tarantino gioca in casa, il premio si alza: l’orrore contro cui si scaglia il regista insieme ai suoi personaggi è una radice della cultura americana, repressa e accantonata dal cinema stesso. In tal senso, se Django Unchained è un film forse meno perfetto del precedente (una gara difficile persino per lo stesso Quentin) è anche un’opera più coraggiosa, a modo suo più dolorosa, pur nella liberatoria catarsi della sua fantasia distruttiva, consapevole di scagliarsi contro un muro difficile da abbattere. E di doverlo fare senza lesinare sulle armi. Trattandosi di Tarantino, il piacere del film si muove su livelli differenti: quello di una “tradizionale” storia di vendetta raccontata con un piglio che unisce spirito civile ed esasperato romanticismo, una riflessione spavalda e provocatoria sul canto del cigno di uno schiavismo decadente e vicino al dirupo (il film è ambientato a un passo dalla guerra civile) ma anche una rivincita del cinema stesso, e del film sul genere che lo ospita. Ma nonostante i riferimenti diretti, il simbolico nome del protagonista, la splendida colonna sonora piena di classici più o meno noti di Bacalov, Ortolani, Micalizzi e, ovviamente, Morricone (che ha scritto una canzone ad hoc insieme a Elisa; Tarantino la usa, come suo solito, in modo intelligente, inaspettato, anticlimatico), Django Unchained è molto più che un mero omaggio allo spaghetti western come in molti l’hanno dipinto, soprattutto a priori. Il genere, notoriamente influente sulla sua filmografia come pochi altri, è usato come piattaforma di partenza per un film complesso ed eccitante, lunghissimo ma privo di momenti di stanca, che mescola blaxploitation e mitologia nordica, affianca ironia e tragedia, violenza sanguinaria e comicità improvvisa (alcuni momenti del film, tra cui una delle più riuscite – quella del KKK – sembrano quasi un omaggio a Blazing Saddles di Mel Brooks) con una scioltezza che non ha assolutamente pari al mondo: sono passati vent’anni da Le Iene ma Tarantino è sempre un passo avanti rispetto ai suoi epigoni. Meglio ancora, un passo di lato: Django Unchained è l’ennesima conferma dell’inafferrabile vitalità di un genio del cinema, ma contribuisce ancora di più a restituire la sensazione di un regista che è stato perlopiù confuso per qualcos’altro, così come i suoi film sono stati spesso scambiati per modesti giochi di società, da scansare quando arrivano gli adulti. Sciocchezze: con una sceneggiatura strabiliante, una messa in scena formidabile e un pugno di attori tutti in impressionante stato di grazia (il micidiale Stephen di Samuel L. Jackson tra una ventina d’anni sarà riverito nei manuali, alla faccia dell’Academy), Quentin Tarantino ha caricato fino in cima la sua botte di dinamite, non lasciando un frammento che non fosse di fuoco e fiamme; e l’epica esilarante e terribile del suo Django è l’esperienza cinematografica definitiva di questa stagione, un altro maledetto capolavoro, un cinema impossibile che contiene tutto il cinema possibile.
Nei cinema dal 17 gennaio 2013
Lo attendo con ansia! (E ti seguo da tempo silenziosamente…)
“un altro maledetto capolavoro, un cinema impossibile che contiene tutto il cinema possibile”.
Wow! Complimenti per la recensione.
Già abbiamo un membro del podio del classificone 2013?
Te lo chiedo giusto per farmi montare un’altro po’ l’hype.
Ciao
vorrei che il film mi fosse piaciuto tanto quanto a te, in modo da ispirare una recensione altrettanto bella e appassionata, ma purtroppo non è così
Splendida recensione, kekkoz, davvero emozionante, mi carica ancora di più in attesa di vederlo. Mi piacerebbe beccare una copia in originale, ma finora non ho letto nulla in proposito. Tu sai per caso se c’è la possibilità che vengano distribuite alcune copie in inglese come fu per i Bastardi?
in realtà, quasi nessuno, a parte l’agenzia stampa, lo ha dipinto a spaghetti western.
io però ragionerei sul razzismo.
a mia volta ho scritto, altrove…
Si arriva quindi alla riflessione sul razzismo, visto da diverse ottiche.
Schultz è il punto di vista a noi più accessibile: per lui il colore non conta e Django è come lui. I neri sono come lui. Poi c’è Calvin Candie (DiCaprio), innamorato della Francia (ma non parla francese. È un sudista ignorante) con una quasi moglie di colore, che cena a tavola con l’avvocato (bianco), la camerierina (nera), la non moglie (nera), l’ospite (bianco) e Django (nero). Che prima rimprovera quasi amorevolmente il suo lottatore mandingo fuggiasco D’Artagnan, ma poi lo fa sbranare dai cani, che non se la prende se Django è impertinente con lui e che con il suo cameriere Stephen ha un rapporto quasi da nipote e zio, ma che, arrabbiato, rivela quel che pensa: che i neri siano biologicamente inferiori ai bianchi e che Django, che si dà tante arie, non è diverso. I negri sono inferiori perché il loro cervello è formato diversamente ed è naturalmente portato al servilismo.
Come si diceva, poi, c’è la visione del drago, Stephen, Samul L. Jackson. Lo anticipa Django parlando con Schultz “solo i sorveglianti sono peggio dei negrieri”. Django lo sa, così come ne è a conoscenza chiunque sappia qualcosa di storia americana. Nelle tenute, alcuni negri facevano ciò che nei campi di concentramento facevano i kapò: controllavano gli altri, li comandavano e li punivano. Erano i peggiori nemici di chi era come loro. Si erano venduti alla causa del nemico. Ed erano più rigidi del nemico stesso, come presi da una sorta di sindrome di Stoccolma. Questo fa Stephen.
È infatti lui a smascherare Django, è lui a rifiutare le aperture di Candie. È lui a mettere tutti al loro posto, è lui a umiliare ripetutamente Broomhilda. Più realista del re. È difficile accettare il suo razzismo, anche se la diffidenza – anche il disprezzo – dei neri per Django è comprensibile: tutti i neri che lo incontrano lo guardano non con invidia, ma con riprovazione. Come può – sembrano chiedersi – quel negro andare a cavallo con i bianchi? Segno che il razzismo era largamente condiviso, che alla fine gli stessi schiavi non osavano neppure pensare di essere come i bianchi. Al più, sognavano di fuggire ed essere liberi. Per vivere probabilmente nascosti, ma non uguali.
Infine c’è il razzismo di Django. Il nostro eroe sembra non farsi toccare il cuore dalla condizione degli schiavi attorno a lui. Lascia sbranare il mandingo, rimprovera l’uomo che lo fissa, chiama carboncini i suoi simili. Forse disprezza chi continua ad accettare la condizione di schiavo, forse condivide il pensiero dei padroni bianchi più di quanto non voglia dare a vedere. C’è da dire, ed è Django a farlo rilevare, che il mondo è certamente diviso in negri e bianchi, ma anche in poveri e ricchi, e tra poveri e negri poco cambia: anche i poveri bianchi hanno un padrone, come Django fa rilevare al tirapiedi di monsieur Candie, o come Big Daddy nella sua tenuta suggerisce alla sua schiava (di trattare Django non come un bianco, ma come quel bianco un po’ ritardato – un po’ un bianco di serie B…).
e però porca paletta, magari uno – spoiler alert – prima di raccontare l’interda trama?
che ormai so che kekkoz spoiler non ne fa, o al limite avverte, e leggo con la guardia abbassata
F.
Un nuovo film di Tarantino è sempre un avvenimento. Ero impaziente di vederlo e dopo “cotanta” recensione lo sono ancora di più. Grazie Kekkoz.
Aldo vecchiocinefilo
…per non parlare di quella stella polare di attore che risponde al nome di Christoph Waltz, sempre più strabiliante. p.s. complimenti, ottima recensione!
Sono stata a vederlo ieri sera e mi sono molto emozionata. Ho riscontrato una maggiore partcipazione emotiva rispetto alle altre pellicole, meno distacco e ironia e una grande empatia da parte di quentin nei confronti di Django,, della sua storia, ma anche della Storia.
Gli interpreti devo dire tutti nella parte e bravissimi, e la musica come sempre strabiliante.
Forse l’ultima parte è più debole, anche perché la dipartita dallo script e dallo schermo del personaggio di Waltz si sente.
Chapeau.
Non capisco come i lettori possano definire questa una recensione.
Non c’è uno straccio di analisi filmica, ma solamente le lodi sperticate di un fan,
che non si accorgerebbe degli innumerevoli difetti di montaggio di questo film nemmeno
se glie li si mostrasse con il fermo immagine.
Parlare poi di opera “coraggiosa” o addirittura “dolorosa” è un insulto all’intelligenza,
non solo del lettore ma anche dello stesso Tarantino!
Non c’è nessun discorso sul razzismo in questo film, ma solo sul genere western, così come non c’era nessun discorso sul nazismo in Inglorious Basterds, ma solo sul cinema di guerra.
(E questi discorsi Tarantino di solito li sa fare dannatamente bene, divertendosi e facendoci divertire).
Senza offesa comunque, sono solo le opinioni “a caldo” di un “vecchio” cinefilo!!
Bye!
Il film e’ eccelso, non c’e’ da dire. La scena del KKK e’ magistrale.
Ho solamente dei dubbi su Christoph Waltz. Una interpretazione che ricalca troppo il personaggio del precedente film di Tarantino, Bastardi senza gloria.
Non credete che Waltz si sia divertito a riprendere quel manierismo negli atteggiamenti, nel portamento e nei dialoghi (ok, su questo potrebbe esserci anche lo zambino di Quentin) che ci fecero applaudire a lungo qualche anno fa?
ciao
Ancora una volta, leggere la tua recensione è una delle prime cose che faccio dopo aver visto un film. Ancora una volta, una perfetta coincidenza con le tue impressioni
memorie di un giovane cinefilo.
Ti cerco e leggo sempre dopo la visione di film che ho amato.
Una su tutte, la tua recensione su Drive.
E qui concordo sullo stato di grazia.
Con te i film si leggono e rileggono. una meraviglia.
Grazie
caro Kekkoz, personalissimo e apprezzatissimo mentore, questa volta non mi trovi d’accordo. non è la prima, naturalmente, e Dio ci scampi dall’uniformità dei gusti e dei giudizi. ma volevo fartelo sapere perché è grande la distanza fra la tua recensione – oddio, quasi sarei incline a dare ragione, almeno in parte, a Marco – e le mie impressioni di prima mano. credo di stare cominciando a sentire una certa nostalgia del vecchio Tarantino e mi viene il cattivo pensiero che forse il ragazzo abbia sbracato. voglio dire che di cinema, in queste quasi tre ore, ne ho visto poco. cinema in senso classico, nella narrazione e nello stile. ho visto un guazzabuglio di generi in cui non si capisce a cosa dare davvero importanza, tante cose buone, ma lasciate a metà. una sceneggiatura stirata quà e là come la pastafrolla. il montaggio, certo, che non aiuta la scorrevolezza della proiezione. la musica, francamente male assortita. un atteggiamento parodistico di fondo che non fa onore ai maestri western – piaccia o no il genere – e l’assenza di quel sentimento di novità – “ma che cavolo…?” – che ti faceva inarcare le sopracciglia con gusto a ogni nuova produzione di Quentin nostro. forse, a ripensarci, una volta concluso l’esperimento Kill Bill si sarebbero dovute prendere altre strade.
l’ho rivisto all’Apollo v.o: capolavoro. ma va visto in grande e in versione originale. vale per tutti i film, lo so, ma per questo vale il doppio.
e’ un’opera perfetta: sceneggiatura, attori in stato di grazia, colonna sonora che esalta storia e immagini. azzardo: lo metto al pari di Pulp Fiction.
puro genio che coinvolge ed emoziona, un mix che e’…dinamite!
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Il film è un atto d’amore nei confronti del cinema; come tale non può che commuovere e divertire chiunque ami il cinema, e naturalmente farsi Galeotto per la nascita di nuovi amori
La recensione è molto, molto bella; peccato che personalmente io non sia affatto d’accordo. Quoto Anto su tutta la linea: la mia impressione è che Tarantino non sia più l’enfant terrible di un tempo, ma solo un regista accorto (e di mestiere, per carità) che sa come prendere il suo pubblico…Sospetto infatti che la sua più o meno improvvisa attenzione verso i temi sociali sia sintomo del fatto che non abbia più molto da dire. Forse mi sbaglio, ma trovo esagerato gridare al miracolo e supervalutare un prodotto pasticciato e mediocre come questo (ma dai, ci son perfino le battute ad effetto…) solo perché è un film di Tarantino, ed ergo va incensato aprioristicamente.
Questa recensione è perfetta.
http://www.lastampa.it/2013/03/24/multimedia/spettacoli/morricone-si-chiarisce-con-tarantino-rk11PuyVrjhSAvPWJEViPJ/pagina.html