Re delle terre selvagge (Beasts of the southern wild)
di Benh Zeitlin, 2012
Il primo lungometraggio diretto da Benh Zeitlin, giovane regista newyorkese di casa a New Orleans, sta vivendo un anno davvero eccezionale. Tutto è cominciato al Sundance Film Festival, dove ha ottenuto il Gran Premio della Giuria; il suo viaggio si concluderà ai prossimi premi Oscar: si è aggiudicato quattro nomination, tra cui quella come miglior film. Niente male, per un film costato meno di due milioni di dollari. E non stupisce che Beasts abbia conquistato i favori della critica diventando uno dei titoli più amati dell’anno trascorso, spalla a spalla con nomi grossi come Spielberg, Anderson e Bigelow: Zeitlin ha preso uno spunto storico terribilmente drammatico e ancora bruciante come le conseguenze dell’uragano Katrina, ne ha trasferito le suggestioni e l’immaginario in un mondo ambiguo a sé stante a cui vengono negati attribuiti caratteri specifici, e ha realizzato un film autenticamente curioso per come si muove sul confine tra realismo e fantasy, con una produzione inusuale (almeno, al di fuori del circuito indipendente) che predilige l’utilizzo di attori non professionisti e uno stile che si rifà al documentario. Ciò nonostante, Beasts of the Southern Wild è infinitamente meno convincente della somma dei suoi fattori: molto acerbo nella scrittura e, soprattutto, nella messa in scena che nasconde le sue falle dietro le velleità malickiane del montaggio e la scontata mobilità della macchina da presa, il film di Zeitlin sembra voler utilizzare il linguaggio del fantastico per sublimare l’orrore della realtà ma alla fine, trascinato dalla tracimante colonna sonora, va sempre alla ricerca dell’impatto emotivo e finisce per vendere la sua riflessione sugli uomini, la terra e l’America per un piatto di buoni sentimenti. Forse è ingiusto sostenere che questo film sia la puntuale occasione per un lavaggio collettivo di coscienza, ma ne ha molte caratteristiche: di fatto, è un film che punta quasi solo al cuore, e se il miracolo non funziona si rischia di trovarlo pressoché inconsistente, o addirittura ruffiano. Per fortuna Beasts ha i suoi bei momenti (per esempio l’incontro con gli Aurochs in cui molti hanno visto, non a torto, echi di Miyazaki) e, per fortuna, la minuscola e bravissima Quvenzhané Wallis merita tutto l’affetto dedicatole in questi lunghi mesi dai media. Lei c’è, eccome; il cinema, invece, si lascia desiderare.
Accidenti, un po’ ci speravo (stavo quasi per ordinare il dvd).
Guarda giordano, è piaciuto (anche moltissimo) a tante persone intelligenti e preparate, in questo caso sono in stretta minoranza quindi se vuoi dagli una possibilità
A me è piaciuto, a parte qualche deriva melensa
prevalso il So what? sul Wow effect.
poi troppo The road re-loaded, dai.
Purtroppo sono del tutto d’accordo con la tua recensione. Mi aspettavo qualcosa in più dopo tanto clamore. Anche se Quvenzhané Wallis vale da sola la visione.
Mamma mia lei è… straordinaria!
Per il resto no. Non mi ha convinto questo filmetto. Mi è sembrato un vorrei ma non posso.
Ma non ce lo avete visto Sendak, oltre a Malick, come dicevi? Nell’incontro con gli Aurock io ho visto lui, più che Miyazaki
comunque una piccola delusione Sundance, dopo decenni..