Oblivion
di Joseph Kosinski, 2013
Se c’è una cosa che Joseph Kosinski aveva dimostrato, pur in un film deludente come Tron: Legacy (di cui dirigerà anche il sequel il prossimo anno) era il suo talento visivo: un’opera malriuscita in cui si riuscivano comunque a intuire e apprezzare le sue capacità, soprattutto nell’utilizzo degli effetti speciali e delle musiche, forse persino già uno stile da coltivare. La conferma arriva, in qualche modo, con il suo secondo film: forte del successo del debutto, Kosinski si scrolla di dosso l’ingrombro di un franchise (e della Disney, che avrebbe dovuto realizzare anche Oblivion, ma ha poi ceduto i diritti alla Universal), e si fa produrre una sua sceneggiatura originale, pensata originariamente in forma di graphic novel. Il film è prima di tutto un sentito omaggio alla fantascienza, ha le sue radici nella letteratura di Philip K. Dick nell’affrontare i suoi temi principali, quelli sul rapporto tra identità e memoria, e nella rappresentazione di un pianeta abbandonato sembra rifarsi (anzi, piuttosto esplicitamente) alle visioni pixariane di Wall-E. La sceneggiatura, va detto, non è il punto forte di Oblivion: non tanto per l’interessante soggetto o per il colpo di scena (a dire il vero abbastanza sorprendente, anche se tutt’altro che innovativo) che cambia la rotta del film a metà della corsa, quanto per dialoghi e dettagli che, forse per via delle riscritture e dei passaggi di mano, lasciano ben poco spazio all’intuizione dello spettatore e un approccio “sentimentale” che rischia di sembrare stucchevole al fianco di una messa in scena così asettica e precisa. Ma è proprio sotto il profilo visivo che Kosinski si dimostra capace di autentiche meraviglie: visto in un teatro IMAX, formato per cui è stato pensato fin dal principio (e purtroppo in Italia la scelta è scarsa) il film è uno spettacolo sensazionale, soprattutto nelle sue parti più descrittive (l’incipit, con la prima visione della Luna distrutta, lascia senza fiato) e in quelle più “action”, per esempio gli inseguimenti che strizzano l’occhio al modello degli sparatutto, da Rebel Assault in avanti, oltre a essere lo stato dell’arte delle tecnologie digitali. Che mantenga o meno lo stesso effetto in una sala normale o sul “piccolo” schermo, sarà un discorso da fare a parte. Ancora una volta, poi, Kosinski mostra un particolare gusto per la scelta della colonna sonora, qui affidata ai francesi M83 che regalano uno score roboante e rétro (splendida la canzone sui titoli di coda, cantata dalla norvegese Susanne Sundfør) che pur esagerando a tratti aiuta a dare personalità al film. Tom Cruise, alla ricerca di rivalsa in un biennio poco fortunato, si comporta come sempre con grande professionalità; ma a colpire è soprattutto la sorprendente Andrea Riseborough, pur recitando tutte le sue parti in un pugno di metri quadri.