Warm Bodies, Jonathan Levine 2013

Warm bodies
di Jonathan Levine, 2013

Girare una “commedia romantica con gli zombi” dopo Shaun of the dead e Zombieland portando a casa un risultato dignitoso non era un’impresa da niente. Per fortuna, Jonathan Levine è un regista e sceneggiatore in gamba e intelligente che già in 50 / 50 aveva saputo ribaltare le convenzioni del cancer movie e che anche qui decide di fregarsene delle regole e fare di testa sua. Warm bodies parte da due idee vincenti, non solo quella di assumere totalmente il punto di vista di uno zombi (utilizzando la voce fuori campo in modo assolutamente funzionale, per una volta), ma anche quella di partire dai postumi della pandemia; creando, di fatto, una sua mitologia autonoma, in cui gli zombi apprendono i ricordi delle vittime, “invecchiano” (diventando orribili mostri in CGI) e, addirittura, possono guarire. Levine ci tiene a mettere gli obiettivi di questa sua tenera parabola sull’insensibilità generazionale davanti ai precetti del sottogenere, e finisce per trasformare questo disinteresse per il ”canone” in un punto a suo favore. La risoluzione, magari, potrà sembrare un po’ troppo candida (e un paio di passaggi della sceneggiatura sono buttati via con colpevole distrazione) ma l’operazione è condotta con freschezza e senza troppa ruffianeria, una messa in scena adeguata, un ottimo cast e un equilibrio perfetto tra senso dell’umorismo e sentimentalismo spudorato. Un film terribilmente divertente sul micidiale potere terapeutico degli affetti.

3 Thoughts on “Warm Bodies, Jonathan Levine 2013

  1. tre, a mio avviso sono i problemi:
    1 gli zombie sono morti, non possono quindi guarire…
    2 il cast è ottimo ma la recitazione lascia molto a desiderare
    3 l’idea è ottima, e dai primi minuti ci si aspetta qualcosa di più, e poi il finale lascia moooooooolto a desiderare

  2. Ma soprattutto, quanto è bella la protagonista femminile?
    AP

  3. Il merito è sia di Levine, che contrappone il flusso di coscienza del giovane zombie R con il macilento esprimersi e muoversi propri della sua natura in decomposizione, sia di Nicholas Hoult (già amato nel primigenio “Skins” e in “A single man”) che caratterizza R, soprattutto nella prima parte della pellicola, attraverso un insieme di espressioni facciali e movenze, donando al pubblico dell’orrido genere young adult (etichettatori editoriali siate voi maledetti!) un personaggio adorabile, ironico, affatto bidimensionale, indi non irritante e purulento per il resto degli spettatori.

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