Admission
di Paul Weitz, 2013
Anche la simpatia e la bravura di due attori come Tina Fey e Paul Rudd possono essere messe a dura prova quando non sono sostenute da personaggi che valgano la pena di essere seguiti. Ed è quello che accade nell’ultimo dimenticabile film di Paul Weitz, che ritorna a percorrere la strada dei suoi primi due (buoni) film in solitaria, A good company e American Dreamz, quella di una commedia adulta e aggrappata con le unghie alla realtà, purtroppo con risultati assai meno soddisfacenti. La sceneggiatura, troppo intenta a girare intorno al tema dell’istinto materno, dipinge il personaggio di Tina Fey come quello di una donna completamente in balia degli eventi che non sa mai che pesci pigliare, una delle professioniste meno professionali mai viste sullo schermo, e quello di Paul Rudd non è da meno, visto che l’intero improbabile plot è basato su una sua imprecisione dovuta a un eccesso di buona fede e ottimismo. Non è la prima volta che i due non funzionano al cinema, ma come era successo con Date night (dove lui era Steve Carell) anche la loro accoppiata romantica è prova di qualsiasi alchimio; almeno nel film di Shawn Levy c’era un Mark Wahlberg memorabile, qui nemmeno i personaggi secondari (la mamma femminista Lily Tomlin, l’inglese fedifrago Michael Sheen) destano alcun interesse. Si guarda dall’inizio alla fine, perché Tina e Paul sono comunque una delizia e ce la mettono tutta: meritavano uno script e una regia alla loro altezza.