ottobre 2013

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L’evocazione – The Conjuring, James Wan 2013

L’evocazione (The Conjuring)
di James Wan, 2013

Tra gli esempi di cinema fantastico che, negli ultimi anni, ha cercato di riportare sullo schermo le suggestioni di un passato non troppo lontano, The Conjuring è stato forse il caso di maggior successo, sia presso il pubblico che per la critica, oltre che un esempio di indubbia efficacia. I due sceneggiatori (i fratelli Hays) avevano già esplorato le potenzialità del vintage in House of wax di Jaume Collet-Serra; qui l’esperimento si fa meno cinico e più filologico, recuperando una metodologia “analogica” dello spavento che sembra voler dialogare con l’ambientazione temporale del film. James Wan, regista abile per quanto (o proprio perché) privo di personalità, dirige con notevole mestiere, senza lasciare traccia di sé, e può contare sulla presenza scenica di due attori come Vera Farmiga e Patrick Wilson, desiderosi di non prendere mai troppo sul serio la severa intensità dei loro ruoli. In definitiva, The Conjuring si rifà quasi più alla tradizione del fantastico americano (dalla Amblin in giù) che al cinema horror, e per questo scontenterà (o ha già scontentato) i più passionali esperti del genere. D’altra parte, nel suo essere un prodotto piuttosto innocuo, pur non inventando nulla né volendo davvero farlo, come divertimento passeggero funziona alla perfezione.

Prince Avalanche, David Gordon Green 2013

Prince Avalanche
di David Gordon Green, 2013

Se il suo ultimo film, lo straordinario Joe con Nicolas Cage presentato a Venezia, rappresenta il ritorno di David Gordon Green alla sua forma migliore e, soprattutto, alla sua originaria passione per il dramma della ruvida, violenta provincia americana, Prince Avalanche si può vedere come la medicina assunta per avviare la disintossicazione, per portare alla riabilitazione di una grande firma del cinema indie statunitense. Limitato nelle intenzioni, nella produzione (è costato meno di 800mila dollari) e nella distribuzione (negli Usa è uscito “on demand”), il delizioso piccolo film ispirato a una pellicola islandese uscita pochi mesi prima permette a Green di “allontanarsi dalla civiltà”, proprio come il suo protagonista, ritrovando nell’amicizia virile tra Alvin e suo “cognato” Lance la chiave di un cinema fresco, onesto, essenziale, originale e profondamente umano. La lunga (e altalenante) esperienza nella commedia, forse, non è stata tempo buttato: in Prince Avalanche, soprattutto nella direzione degli attori (Paul Rudd, in particolare, è fantastico), ritroviamo l’ironia un po’ crudele coltivata negli anni accanto a gente come Jody Hill e Danny McBride – anche se decisamente più gentile, ma ugualmente efficace. Ed è bello poterlo dire così, a posteriori, con una certa sicurezza: questo film minuscolo e speciale è stato il primo passo di un ritorno in grande stile.

Black Rock, Katie Aselton 2012

Black Rock
di Katie Aselton, 2012

Per riappacificare due amiche che non si parlano da anni, Sarah (Kate Bosworth) organizza una gitarella su un’isola che le tre frequentavano da ragazzine. Ma la “roccia nera” non è deserta; la loro vacanza non sarà così rilassante. La sceneggiatura di Black rock è firmata da Mark Duplass, che non è solo il marito della regista Katie Aselton (è anche una delle tre attrici) ma anche l’attore-autore capofila del cosiddetto mumblecore. La cui influenza, in questo curioso thriller, si vede soprattutto nel realismo naif (anche quando si entra in territori horror), nell’acutezza dei dialoghi semi-improvvisati nella parte iniziale (nelle prime battute, Sarah dice di avere pochi mesi di vita, pur di tenere buone le due amiche) e nella componente produttiva – stiamo parlando infatti di un film dal budget ridotto, circa 7 milioni di dollari. L’obiettivo sembra quello di costruire una sorta di inquietante metafora dei rapporti di potere tra i generi, giocando con un pizzico di sadismo con i cliché del dramma al femminile, ma l’originalità della Aselton resta sulla carta quando il film, inizialmente davvero inusuale, diventa una più ordinaria caccia al topo – con ben in mente la saggia prerogativa di poter ribaltare all’occorrenza il ruolo del gatto. Restano, comunque, tratti singolari, soprattutto l’evoluzione selvaggia del personaggio di Lou, la solita bravissima Lake Bell. Pur essendo spezzato (in modo poco elegante) in due parti distinte, Black rock ha anche una grande dote nella sua compattezza: dura appena 80 minuti, quindi non ha nemmeno il tempo di stancare.

el pube è un pilota – guida non esaustiva alle nuove serie tv (settembre 2013)

Com’è ormai tradizione all’inizio di ogni stagione televisiva, diamo un’occhiata alle nuove serie tv che hanno invaso le nostre chiavette usb levandoci quel poco di vita sociale che ci era rimasta. Come sempre, buona parte dei “giudizi” è basata unicamente sul pilot o sui primissimi episodi, il che equivale a dire: non vale una mazza, ma ci divertiamo così. La “cover” di questa edizione del pube è dedicata a uno dei migliori debutti di questo mese, di cui però parliamo più avanti. L’edizione, invece, è tacitamente dedicata a una delle più grandi serie di tutti i tempi, quella che ci ha lasciato da pochi giorni. Ci mancherai tanto, bitch.

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sleepyhollow

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