Non siamo più in Iran, ma c’è ancora una separazione al centro dell’ultimo film di Asghar Farhadi: è quella tra la farmacista Marie e l’ex marito Ahmed, che la donna ha fatto arrivare da Teheran alla periferia di Parigi, per firmare le carte del divorzio. Ahmed scopre solo al suo arrivo il motivo dell’urgenza: Marie vuole risposarsi, in terze nozze, con il convivente Samir, che lavora in una lavanderia. Anche quest’ultimo è sposato: sua moglie giace in un letto d’ospedale. Dopo lo straordinario dramma iraniano premiato con un Oscar indiscutibile nel 2012, Farhadi si sposta in Francia, con un cast apolide (su cui spicca una splendida Bérénice Bejo, alle prese con un personaggio umano e difficile) e non perde un briciolo della sua maestria e del suo rigore, confermandosi uno dei più lucidi osservatori del comportamento umano nel cinema di oggi. Costruito su una sceneggiatura di impressionante solidità, Il passato è un film che non ha mai fretta ma che non lascia scampo, svelando gradualmente, come se fossero indizi di un thriller, i dettagli dell’intreccio, le identità dei personaggi, i loro desideri e infine i loro segreti – finendo per rovesciare ancora una volta, in modo chirurgico, le prospettive morali e le aspettative degli spettatori su di esse. Fin dal brillante incipit in cui i due protagonisti non riescono a comunicare attraverso un vetro dell’aeroporto, quello raccontato da Farhadi è un complesso incastro di desideri egoisti, e le incoscienti illusioni di poter cancellare, spazzare via il proprio passato non potranno che scontrarsi l’un l’altra. Ma l’onestà impietosa con cui il regista osserva i personaggi, le loro colpe, i loro rimpianti, non è priva di un’empatia coinvolgente, persino commovente. Se è impossibile fare il tifo per qualcuno, lo è altrettanto non immedesimarsi in quest’umanità ferita, incapace di andare avanti, ma sempre alla ricerca ostinata, afflitta e forse vana di un po’ di felicità.