[il cinema ritrovato XX]
Day four: 04/07/2006
Omaggio a Vincente Minnelli
HOME FROM THE HILL (A casa dopo l’uragano, USA/1960)
R.: Vincente Minnelli. Int.: Robert Mitchum, George Hamilton. D.: 150’. V. inglese
Come insiste Franco La Polla nelle sue brevi ma interessanti introduzioni, Home from the hill si contende la palma per miglior melodramma minnelliano con il Some came running visto il giorno precedente. Va da sé che uno può fare una scelta, e io scelgo l’altro, più originale, più differente, più scioccante. Ma anche questo A casa dopo l’uragano – dove l’uragano non c’è – è davvero un film di straordinaria portata. Vero che i colpi di scena familiari si susseguono come in una soap ante-litteram, e che questi nostri cuori ormai sgamati e annoiati, e che hanno dimenticato la bellezza e l’importanza della letteratura d’appendice (o seriale, più in generale), possono non gradire. E invece no, diamine: grandissimo film, un melodramma innescato da un tradimento e da una (misoginissima) castrazione ventennale, regia perfetta e – come in Some came running – gestione impressionante della tenuta – anche comica – dei dialoghi, una incredibile ultima ora dove l’evidente fatica della prima parte e i mille dilemmi aperti cominciano a richiedere con forza il loro prezzo di sangue, fortissime emozioni (è una vita che aspetto dimmi solo quelle due parole, due parole, "figlio mio") e splendidi personaggi: mentre Eleaonor Parker è inspiegabilmente e a volte fastidiosamente accademica, sono davvero immensi George Peppard e Robert Mitchum, che sia quest’ultimo sulla sua poltrona rossa nel suo buffo quanto inquietante ufficetto da cacciatore (di prede e di donne) o nella sua grande tomba rossa a forma di cubo spugnoso. Ne vogliamo ancora.
Ritrovati & Restaurati
IT HAPPENED IN HOLLYWOOD (La città dalle mille luci, USA/1937)
R.: Harry Lachman. D.: 67’. V. inglese
Non che il film del pittore post-impressionista Harry Lachman sia tra gli oggetti più imperdibili tra quelli presentati qui al Cinema Ritrovato, perché restituisce un’immagine del passaggio dal muto al sonoro che differisce nei toni da quella che fu la realtà, insomma troppo pacificata per non risultare stridente, ma è senz’altro tra i più curiosi. Questo per diverse ragioni, ma oltre a quella più lampante – si tratta di un metafilm, con le solite conseguenze e complessità linguistiche che il metacinema comporta – la più rilevante è forse la lunga sequenza della festa organizzata dal protagonista, in cui per la felicità di un bambino, emblema dell’inganno spettatoriale, tutte le più grandi star di hollywood (Greta Garbo, Mae West, Marlene Dietrich, Charles Chaplin, Bing Crosby, e via dicendo) vengono "interpretate" – e affettuosamente sfottute, in qualche caso – dai sosia di cui gli studios sono stracolmi. Per il pubblico di un festival del genere una cosa simile è come un tuffo a testa in giù nella nutella, e ovviamente si è divertito da pazzi. Ma sì, anche noi.