Corea

Ferro 3 (Bin-jip)

di Kim Ki-Duk

Venezia 61 Concorso

Ho visto solo 4 film in concorso, ma ho trovato il mio Leone d’oro. Sa essere allo stesso tempo una dolcissima storia d’amore fatta di silenzio e sguardi, un’opera sulla ricerca dell’identità e sulla sua assenza, uno sguardo sospeso e ipnotico sullo stupore del mondo, un film sul visibile e sull’invisibile, sulla parola e sul silenzio. E bellissimo, anche esteticamente, con una fotografia splendida fatta di toni blu e bianchi. Una geniale soggettiva di un occhio dipinto, e un finale incredibile. Probabilmente il miglior film a Venezia quest’anno.

Izo

di Takashi Miike, Giappone

Venezia Orizzonti

Izo è una vera e propria esperienza, più fisica che visiva. Ci vuole pazienza, e stomaco. Ma quello che ne viene fuori, il discorso sull’irrazionalità umana, sulla guerra, è davvero straordinario. Il tutto inserito in una storia che mescola tradizione samurai (con rimandi a Kurosawa), cinema sperimentale (i filmati di repertorio a far da contrappunto) e soprattutto la mitografia nipponica (il rancore, i demoni). A tratti un po’ faticoso, e insostenibilmente violento: ma portatore di una visionarietà geniale, davvero unica e importante nel cinema mondiale.

Palindromes

di Todd Solondz, USA

Venezia 61 Concorso

Sinceramente mi aspettavo di più, da un autore come Solondz: Palindromi non è Happiness, il discorso è più diretto, la provocazione forzata e ricercata. Ma il cinismo coglie nel segno (e diverte) molto spesso, e il regista si conferma uno dei pochi cantori degli orrori americani, uno dei pochi ad avere il coraggio di sparare a zero su tutto e tutti, abortisti e antiabortisti, senza preoccuparsi del buon gusto (che non c’è), con insolito amore per gli inetti e i reietti della società. La Barkin era uno dei miei idoli sexy da giovanissimo: ieri sera l’ho vista, un po’ invecchiata, ma sempre bellissima.

Famiglia Rodante

di Pablo Trapero, Argentina

Venezia orizzonti

Poche parole: un film piccolo piccolo, divertente anche se un po’ scontato. Il bello di Trapero è che sa cogliere piccoli dettagli, regala perle sorridenti di cinema on the road. Affastella le sue storie corali, voci che si sovrappongono sotto l’effetto di una sceneggiatura-canovaccio: niente male.

Some gossip…

Mi sono fatto fare una foto con Takashi Miike e una con Kim Ki-Duk. Emotional.

Vista la molteplicità, dedico questo post a un solo film. E che film!

Three… extremes

di Fruit Chan, Park Chan-Wook, Takashi Miike

Venezia Mezzanotte

Il film collettivo dei tre grandi registi orientali (hongkonghese, coreano, giapponese) è un bellissimo, sorprendente, entusiasmante esercizio di stile.

Dumplings, l’episodio di Chan, è un’operetta cinica sottilmente misogina sulla mercificazione della bellezza, fotografata da dio dal grandissimo Doyle (il fotografo di Wong Kar-Wai).

Cut è l’episodio di Park, che prende il suo tema favorito, la vendetta, e lo butta inizialmente sul ridere, per poi terminare in modo davvero estremo e granguignolesco, ma con uno stile ineccepibile, virtuosistico, sopra le righe ma mai fastidioso, e spesso divertentissimo.

Box, l’episodio di Miike, è il migliore dei tre: un sublime pezzo di cinema, formalista fino allo spasmo estetico, un mediometraggio sul sogno e sul senso di colpa, che mette in crisi, con attese silenzi visioni e deja-vu, lo spettatore, per poi stupirlo inevitabilmente nel finale. Un piccolo capolavoro.