Hunger
di Steve McQueen, 2008
Diretto da un artista video londinese dal nome altisonante e divenuto nel giro di poco tempo uno dei film di maggior successo (e più chiacchierati) della storia del cinema irlandese, Hunger è uno dei film più duri, violenti, inflessibili e intransigenti che mi sia mai capitato di vedere nella mia carriera di spettatore: ambientato nel 1981 nel carcere di Long Kesh, dopo aver fornito il contesto attraverso una messa in scena brutale e ineccepibile, il film racconta fase per fase il martirio del soldato dell’IRA Bobby Sands durante un lungo sciopero della fame che lo porta inevitabilmente alla morte. E se McQueen mostra un interesse in questo suo primo lungometraggio, è quello di non volere, o meglio di non potere scendere a compromessi. Con il pubblico, con sé stesso, con il suo cast e con il linguaggio del cinema. A costo di troncare l’opera in parti ben distinte, tra cui spicca quella – ormai celebre – del dialogo tra Sands (interpretato da Michael Fassbender) e un sacerdote: una singola inquadratura a camera fissa lunga più di un quarto d’ora a cui segue un lungo primo piano di Fassbender, una scelta senza precedenti che trasforma letteralmente il film, da crudo e implacabile ritratto storico qual era, sottolineando ancora di più la sua caratura morale e le sue ambizioni filosofiche. Dopo questa lunga sequenza, la lenta e dolorosa morte di Sands diventa quasi una passeggiata per lo spettatore – e se da una parte il tour de force attoriale richiesto dal piano-sequenza precedente diventa per Fassbender un vero e proprio martirio attoriale, con il corpo (non a caso così bello e fascinoso) ridotto in brandelli, scarnificato in un modo quasi insopportabilmente intenso, McQueen, probabilmente per sua deformazione, studia ogni singola inquadratura con un rigore e una precisione che gelano il sangue – con un effetto immediato, quello di riempirci di brividi quando la macchina da presa all’improvviso, prende il volo nella stanza dissolvendo l’immagine con un volo di mortiferi corvi (una delle singole inquadrature più metaforicamente strazianti del cinema recente). Insomma, Hunger è un film straordinario e unico che cerca (con successo) di andare in due direzioni spesso incompatibili, alla testa e alla pancia, perché in fondo è un film che parla di storia, di politica, di un preciso momento, di un messaggio, di uomini realmente vissuti e realmente morti, anche con intenti quasi didascalici e descrittivi, ma anche e soprattutto di sacrificio, di bisogni primari, della "fame", di saper spingere i limiti del proprio corpo – così come fanno McQueen e Fassbender stessi, nel film – e della propria psiche, della propria anima, a servizio di una speranza anche soltanto possibile.
Non mi risulta sia prevista un’uscita italiana del film. Il dvd inglese invece costa pochissimo. Compràtelo.