Israele

Valzer con Bashir, Ari Folman 2008

Valzer con Bashir (Vals Im Bashir)
Ari Folman, 2008

A chi do la colpa, adesso che ho visto Valzer con Bashir e non sono affatto entusiasta?

Posso dare la colpa ad Ari Folman per aver confezionato un film che sebbene possa vantare senza alcun dubbio un progetto formale assai stimolante e un impatto visivo e sonoro in alcuni momenti estremo, persino allucinatorio (in senso positivo) visti anche i limiti estetici intrinseci della tecnologia con cui è realizzato, è un film che è costruito in questo modo sull’enfatizzazione del dolore e sull’estetizzazione della morte, un film insomma che non credo di aver alcun indugio – soprattutto volgendo agli occhi a quel tremendo finale – a voler definire sostanzialmente ricattatorio?

Posso dare la colpa a me stesso per non essere riuscito a entrare, sentimentalmente, nell’ottica di un film il cui punto di vista nel guardare a un momento storico così complesso è quello di un gruppo di isrealiani benestanti che mentre la gente che hanno contribuito ad ammazzare continua a crepare, si prendono tutto il tempo per andare alla ricerca del tempo perduto, come se un briciolo di senso di colpa in ritardo di vent’anni potesse bastare a far gridare all’autocritica di fronte all’intero conflitto israeliano-palestinese?

Posso dare la colpa a chi l’ha menata per settimane con Valzer con Bashir, e vedessi che bello che è Valzer con Bashir, e quando ho visto Valzer con Bashir ho scoperto che la guerra è una cosa brutta, alimentando aspettative esorbitanti quando poi il film in sé, sì, era bello dai, ma niente di che?

Nah.

Il primo che mi viene a dire che nella lotta ai Grossi Premi Statunitensi, Valzer con Bashir tutto sommato era meglio di Gomorra, vengo lì e gli mangio la testa.


Postilla essenziale: prego gentilmente gli estimatori di questo film di affrontare la cosa con la sempre necessaria ironia. Grazie.

La banda (The band’s visit) (Bikur Ha-Tizmoret)
di Eran Kolirin, 2007

Per quanto potessi considerare ormai garantito, quasi scontato, l’acclamato e premiatissimo esordio cinematografico di Eran Kolirin, The band’s visit è riuscito davvero a stupirmi: per la sua immediatezza, l’irresitibile leggerezza della sua scrittura, la perfezione di un cast di facce e di voci (dissonanti eppure perfettamente "concertate"). Ma anche per lo stupefacente gusto nella composizione delle inquadrature, in cui il fotografo Shai Goldman riesce a coniugare un gusto estetico da "quadro vivente" con uno stile asciutto che si appaia perfettamente con lo stile e i linguaggi del film.

Una piacevole, piacevolissima sorpresa, sospesa tra la malinconia e l’ironia, tra l’immutabilità e la speranza, tra una riconciliazione aleatoria e disperata e la dolcissima ventata di uno sguardo, o di una carezza, che sia anche lungo una notte sola, che sia anche relegato a un paesino perdutosi nel buco del mondo. Che sia anche sbloccato per un momento da una musica passeggera che arriva e se ne va. E parlare di tutte queste cose senza parlarne affatto, davvero, non è cosa da tutti.

Di indescrivibile grandezza la prova attoriale di Sasson Gabai. La splendida Ronit Elkabetz stravince il premio Quarantenne che ci faremmo 2007-2008.