Oltre le colline (Dupa dealuri)
di Cristian Mungiu, 2012
Cinque anni fa, 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni, vincitore della Palma d’Oro, ha imposto il nome di Cristian Mungiu come capofila del cinema rumeno. Il suo nuovo film, tratto da una terribile storia vera e anch’esso premiato a Cannes per la miglior sceneggiatura e per le due strabilianti attrici protagoniste, non sembra possederne la medesima immediata intensità drammatica: in verità, Oltre le colline è semplicemente un film che chiede qualcosa di diverso al suo spettatore, accumulando con una progressione lenta spietata una tensione impossibile e rimandandone la risoluzione in modo così snervante da accoglierla, in tutta la sua violenza, quasi come una liberazione. Riflessione morale, a tratti brutale, sui confini tra la fede e la ragione, Oltre le colline è attraversato da una strisciante quanto disperata vena di ironia che si trasforma inesorabilmente in tragedia e ambientato in un mondo follemente avvinghiato al suo integralismo, dove un medico prescrive insieme alle medicine di “leggere un po’ la Bibbia, che fa sempre bene”. Allo stesso modo, l’assenza di progresso narrativo (fortificata dalla bellissima fotografia di Oleg Mutu) avvolge e ipnotizza lo spettatore, mettendone in discussione le certezze; al momento del risveglio, ci lascia inermi e impotenti ad assistere, accanto a Voichita, sull’orlo dell’abisso.