Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti (Loong Boonmee raleuk chat)
di Apichatpong Weerasethakul, 2010
Un uomo gravemente malato, una casa isolata, i giorni che lo accompagnano alla morte. Il fantasma di una moglie che appare all’improvviso, così come un figlio tramutato in un essere soprannaturale. Il viaggio in una grotta ancestrale. Intorno, la natura, gli animali, le piante. Le vite precedenti. Una principessa vittima di un’incantesimo che ribalta il mito di Narciso, un bufalo che si libera dei suoi padroni. Me ne sono reso conto subito: non è mica facile raccontare Lo zio Boonmee.
Il problema (e insieme il vantaggio) di Weerasethakul è che non ci sono vie di mezzo, non ci sono compromessi: allo spettatore è richiesto il massimo dello sforzo, un’attenzione estrema, ma non tanto per cogliere dettagli che possono sfuggire (come spesso accade) quanto per concentrarsi sopra ciò su cui il film insiste. Un lavoro “faticoso” di mutuo soccorso tra lo schermo e la sala a cui forse non siamo abituati, ma che ripaga con una favola misteriosa e sfibrante sul cammino verso la morte che, per ammissione di Weerasethakul, ambisce a risuonare come un malinconico canto del cigno di un cinema destinato a morire.
Ma di cosa parla davvero Lo zio Boonmee? È davvero, come suggerisce il titolo (e il regista stesso), un film sulla mutazione continua degli elementi della natura in una concezione del “ciclo della vita” per noi piuttosto inedita? Questo sarebbe pure l’aspetto più intellegibile di Boonmee, che tende spesso a sfuggirci tra le dita, a volte con buon gusto altre volte (la sequenza fotografica, per esempio) snervando la nostra comprensione e costringendoci a rifiugiarci nelle cartelle stampa. Ma se il gioco simbolista funziona fino in fondo, proprio perché ci permette di danzare in libertà tra le dimensioni lasciando da parte gli orpelli e gli artifici del cinema di finzione, Boonmee forse non è tutto all’altezza dei suoi momenti migliori: Weerasethakul ha una grande capacità di rivestire la natura di inquietudini allo stesso tempo opprimenti e liberatorie ma a volte dà la sensazione di potersi concedere qualche lusso di troppo in nome di una missione di cui si sente investito. Ciò nonostante, Boonmee è un viaggio fascinoso, a suo modo ironico, a tratti bellissimo, indubbiamente unico.
Quella del finale è una provocazione che sembrerebbe gratuita, quasi come uno schiaffo definitivo allo spettatore che fino ad allora poteva essersi raccapezzato tra le piccole follie del film: ma in fondo, con il suo girovagare tra il passato e il presente, tra la memoria della propria vita e delle “vite precedenti”, non è anche un film sul viaggio nel tempo? Sui generis. Forse era il modo ideale per chiuderlo: un paradosso sulla fragilità dei confini di ciò che siamo.